Le “mobility company” con l'auto elettrica e senza pilota
Milano. I primi spettatori del film di fratelli Lumière, terrorizzati dalle immagini del treno che entrava in stazione, devono aver provato una sensazione simile a quella che stanno sperimentando i clienti di Uber che, a partire da lunedì scorso, possono effettuare la loro corsa nel traffico di Pittsburgh su un’auto a guida autonoma. Basta segnalare la posizione al pilota automatico che registra la posizione del cliente. All’arrivo della vettura il cliente non deve far altro che salire sul sedile posteriore e segnalare il percorso su un touchscreen: lo schermo mostrerà quel che vede l’auto attraverso Lidar, il suo radar che mette insieme 1,4 milioni di punti ogni secondo, le telecamere, il sistema Gps e altri sensori di prossimità.
“All’inizio fa davvero impressione”, confessa Signe Brewster di Tech Crunch, ma esagera: sui sedili anteriori della vettura sono sistemati un autista ed un ingegnere al suo fianco, pronti a prendere in mano il volante in caso di bisogno. Il test, dicono da Uber, non serve tanto per testare la qualità delle vetture, ma la reazione dei passeggeri di fronte ad una tecnologia per ora sconosciuta. Ma non per molto se valgono le parole di Bill Ford, il pronipote del mitico creatore del modello T, che ha annunciato la produzione in serie di una vettura elettrica che si guiderà da sola già dal 2021. Non è affatto detto che sia a casa di Detroit a tagliare per prima il traguardo, visto che il lotto dei concorrenti si arricchisce ogni giorno di più: Gm, Volkswagen, Daimler, Nissan, Toyota e la stessa Fiat Chrysler, alleata per l’occasione con Google. Ma la sfida va al di là del varo di una nuova vettura, pur rivoluzionaria: si tratta, per dirla con il ceo di Ford Mark Fields, di “trasformare una car company in una mobility company”. Ovvero la quadratura del cerchio consiste nel trasformare un’economia basata sui prodotti in un sistema complesso che affronti il problema del trasporto a 360 gradi, rivoluzionando l’uso e la fisionomia stessa dell’auto. Una sorta di ricerca del “santo Graal” che sta mobilitando già oggi miliardi a palate.
Ma poco importa perché, come dice Sebastian Thrun, “se si cambia il mondo si diventa ricchi. Basta non fare stupidaggini”. Thrun, esperto tedesco di robotica, è il pioniere della rivoluzione, il padre della Google car. E forse qualche stupidaggine a Google l’hanno fatta, visto che l’azienda ha in parte abbandonato l’idea di un’auto radicalmente nuova in netta competizione con le industrie del settore per convergere su soluzioni più tradizionali da sviluppare assieme a Fca. Lo stesso, pare, sta facendo Apple, che ha ridimensionato il progetto Titan: non ci sarà per ora la iCar, ma solo un software basato sull’intelligenza aumentata da sviluppare con altri costruttori. Da non trascurare il giro di vite dei regolatori: anche la California, lo Stato più sensibile all’innovazione, ha stabilito che l’auto senza conducente dovrà comunque avere un volante oltre alla presenza al posto di guida di una persona con la patente.
Pesa lo choc della prima vittima della nuova era in Florida su una Tesla. Non sarà questo a fermare una rivoluzione annunciata, alla ricerca di un equilibrio. Frenano, dopo l’entusiasmo iniziale, i Big della new economy, pur convinti di disporre di un vantaggio incolmabile in fatto di elettronica. Accelerano – grande sorpresa – i giganti del vecchio mondo, a partire dai tedeschi. Sull’autostrada tra Denkendorf e Stoccarda non è difficile vedere la sagoma di Actros “una mandria di elefanti guidata da un pilota automatico”, come Die Zeit ha descritto il Tir creato da Daimler. Si scontrano la filosofia tedesca – introdurre l’innovazione dapprima nelle vetture di lusso per poi allargare la novità alle fasce popolari – e quella americana – al contrario, punta a soluzioni globali che prevedano un nuovo uso della mobilità. In questa direzione Uber, nata da una costola di Google con cui oggi è in acerrima competizione, promette di avere una marcia in più. Ma chissà quante sorprese ci riserva una gara che arriva da lontano. Al Lingotto, sede storica di Fiat, è appesa a una parete la riproduzione di una pagina del bilancio 1905 in cui si legge “stanziate 1.205 lire per l’auto elettrica”. Allora, però, non c’erano problemi di parcheggio o di inquinamento.