L'equivoco di chi si fa bello con il braccialetto fitness e non dimagrisce mai
Roma. Barack Obama ne ha fatto sfoggio involontario ancora martedì durante il suo ultimo discorso davanti all’Assemblea generale dell’Onu. Gesticolando e difendendo la sua visione dell’ordine liberale del mondo, il presidente americano ha più volte lasciato scoperto sotto la manica della camicia il suo ingombrante orologio elettronico, che indossa già da oltre un anno. Gli osservatori di cose tecnologiche lo hanno individuato da tempo: il presidente indossa un Fitbit, non uno smartwatch, ma un “activity tracker”, un apparecchio che misura i passi fatti durante la giornata, i chilometri percorsi, le calorie bruciate in allenamento, la frequenza cardiaca a riposo e sotto sforzo – e che solo incidentalmente dice anche l’ora. Un orologio per sportivi di cui esistono infinite marche e varianti, e che per ora costituisce l’unica categoria di successo di quel variegato mondo di “wearable”, dispositivi indossabili e collegati a internet, che dovrebbe misurare e controllare ogni nostra attività nel futuro ma che non sta davvero sfondando.
Secondo il Times, soltanto nel Regno Unito saranno venduti dieci milioni di activity tracker e di smartwatch, che comunque hanno tutti funzione avanzate per il fitness, e questo mese anche Apple, visto che il mercato è fiorente, ha praticamente riorientato il marketing della seconda versione del suo Apple Watch, trasformandolo da strumento per la produttività a compagno per l’attività fisica. Il boom degli activity tracker conforta l’idea, solitamente fondata, che una vita più ricca di dati empirici sia una vita più consapevole. In questo caso, sapere quante calorie consumiamo ogni giorno o quanti chilometri percorriamo (l’orologio di Obama segna anche quante rampe di scale saliamo) dovrebbe contribuire ad avere una vita più sana, a essere più in forma, a perdere peso.
Una ricerca dell’Università di Pittsburgh uscita questa settimana e ripresa dal New York Times dice però il contrario: chi usa un activity tracker fa più fatica a perdere peso di chi non lo usa. La ricerca, che ha coinvolto 471 volontari tra i 18 e i 35 anni nell’arco di due anni, ha mostrato come dopo una dieta durata sei mesi e che ha portato tutti i partecipanti alla ricerca a perdere circa 8 chili, i volontari a cui nei mesi successivi è stato dato un activity tracker per valutare e misurare i loro progressi abbiano in media ripreso su più chili (4,5) dei volontari che non avevano addosso nessun misuratore digitale (questi ultimi hanno ripreso soltanto 2 chili di media).
La ricerca va in controtendenza rispetto ad altri studi che avevano invece rilevato un effetto positivo degli activity tracker sulla forma fisica, ma che avevano avuto una durata inferiore. I dati andranno approfonditi, anche vista l’età omogenea dei volontari, ma intanto il risultato è sorprendente, anche perché, se inizialmente i ricercatori avevano pensato che quelli che indossavano il tracker erano aumentati di peso perché si muovevano di più e dunque per compensare mangiavano troppo, a guardare bene i dati si nota il contrario: chi indossa braccialetti e orologi da sportivi fa meno sport. I volontari con braccialetto tech “potrebbero essersi concentrati sulla tecnologia e aver perso il focus sul comportamento”, ipotizza John Jakicic, professore a capo della ricerca, e si potrebbe parlare di pensiero magico associato alla tecnologia.
Quando si parla di diete e di tenersi in forma, un braccialetto che sforna a ritmo continuo dati, rilevazioni biometriche e nuovi obiettivi di fitness diventa un palliativo, la misurazione continua diventa speranza di far meglio il giorno dopo o accettazione di progressi insufficienti, e alla fine tutto serve a placare il miglior dietologo di sempre, il senso di colpa.