Chi si prende Twitter? Il social è in vendita, i pretendenti fuggono
Roma. Ad appena tre anni da un trionfale esordio alla Borsa di New York che avrebbe dovuto segnare il suo ingresso nel club dei grandi della Silicon Valley, Twitter oggi è una Cenerentola senza principe. Il social network guidato da Jack Dorsey è in vendita in via semiufficiale da circa un mese, ma da quasi un anno analisti, investitori ed esperti hanno la certezza che Twitter non sia in grado di rimanere una compagnia indipendente e abbia bisogno di un grande compratore per tentare l’impresa difficile di risollevarsi. Pur potendo contare su 313 milioni di utenti attivi al mese e su una presenza costante e crescente nel discorso pubblico (si pensi alle tirate notturne di Donald Trump), negli 11 trimestri da cui è una società per azioni Twitter non ha mai registrato un attivo – mentre la concorrenza, da Facebook in giù, infrangeva nuovi record di ricavi e guadagni – e il numero dei suoi utenti, dopo una crescita iniziale consistente, è stagnante da oltre un anno. Jack Dorsey, dinamico cofondatore richiamato un anno fa a dirigere l’azienda, ha tentato in ogni modo di far ripartire la crescita delle iscrizioni e di spingere gli utenti verso comportamenti più profittevoli (video, integrazione con i media tradizionali), ma con risultati scarsi o nulli. Alla fine, è diventato evidente a tutti che Twitter avrebbe dovuto ridimensionare le proprie ambizioni di far parte della lega dei grandi insieme a Facebook e Google e accontentarsi di diventare un social network di nicchia, oppure farsi comprare da uno di quegli stessi grandi con cui sperava di combattere ad armi pari. Inizialmente, le prospettive di acquisto di Twitter sembravano altissime. Più di trecento milioni di utenti sono pur sempre una cifra pazzesca. Ma uno dopo l’altro, i pretendenti hanno iniziato a disertare e accampare scuse – e Twitter adesso non sa più a chi offrirsi. Negli ultimi tre mesi, dopo un lungo periodo di sofferenza, il titolo in Borsa di Twitter era aumentato di circa il 45 per cento, spinto dalla possibilità di un’acquisizione, ma mercoledì è crollato del 9 per cento in un colpo solo alla diffusione dei rumors secondo cui i principali compratori si stavano tirando indietro, e ieri ha fatto il bis.
Il primo è stato Google, a lungo considerato il più quotato dei pretendenti vista la montagna di dollari su cui il ceo Sundar Pichai è seduto e visti i continui insuccessi della compagnia di Mountain View nel settore dei social. Alcune fonti interne, però, hanno detto in maniera credibile al sito Recode che Google non farà nessuna offerta, e questo è stato il colpo principale che ha abbattuto le quotazioni di Twitter in Borsa. Sempre Recode ha scritto mercoledì che nemmeno Apple farà offerte, e ha escluso la possibilità (per la verità mai sollevata) che Facebook sarebbe stata della partita. Poi è stata la volta di Disney, che ormai è un gigante non solo dell’intrattenimento ma anche della comunicazione, e da tempo sta cercando nuovi sbocchi nel mercato digitale. Le possibilità che Disney comprasse Twitter erano alte anche perché Jack Dorsey siede nel consiglio di amministrazione della società, ed è amico del ceo di Disney, Bob Iger. Ma le solite fonti interne, ancora una volta, hanno smentito: Disney non è interessata.
Così, solo un pretendente, il meno conosciuto e glamour di tutti, sembra rimasto in gara per conquistare Twitter: Salesforce, società multimiliardaria che fornisce servizi alle aziende, specie nell’ambito del cloud. Il ceo di Salesforce, Marc Benioff, è stato l’unico a esprimere un interesse più o meno esplicito per Twitter, definendolo un “diamante grezzo”, ma in più di un’intervista ha mantenuto un atteggiamento circospetto. Ancora mercoledì, parlando a Cnbc, Benioff ha detto che “guardiamo a tutte le opportunità in campo… ma alla fine lasciamo perdere nella maggior parte dei casi”. Il titolo di Salesforce mercoledì è crollato dell’8 per cento davanti alla possibilità che l’azienda compri Twitter, e la maggior parte degli analisti è scettica.
Twitter sta cercando con ansia uno spasimante. Fonti interne alla società hanno detto a Reuters che la dirigenza vorrebbe chiudere il processo di vendita entro il 27 ottobre, giorno della pubblicazione dei risultati trimestrali. Potrebbe trovarlo presto, magari tra i pretendenti che oggi si negano. Ma l’ex meraviglia della Silicon Valley ha perso il suo fascino.