Tech and the City
Partire per San Francisco e perdersi dietro i referendum americani
In viaggio per San Francisco. Comincia l’anno del Foglio in Silicon Valley. Non si è ancora saliti sull’aereo e già cominciano i tremendi confronti transatlantici. Prima di partire, sull’onda di amici che guardandoci fissi negli occhi una mattina a piazza Vittorio ci dicono seri che dobbiamo difendere la Costituzione più bella del mondo, corriamo sul sito del consolato italiano di San Francisco, dove in home page si segnala la possibilità per gli italiani temporaneamente all’estero di votare al referendum di dicembre. Bisogna riempire una complicata “dichiarazione di opzione”, spedirla al proprio comune di residenza che si occuperà di far pervenire qualcosa come una carta elettorale al nostro temporaneo domicilio estero. Si parte allora molto sospettosi verso Fiumicino, pensando all’impiegato romano del comune di Roma a via Petroselli che dovrà seguire la pratica e spedire a San Francisco (in un mese, c’è dell’ottimismo postale in tutto questo) la carta elettorale. I lettori verranno tenuti al corrente della spinosa questione e della spedizione con la massima trasparenza.
Ma intanto in California ecco che l’election day dell’8 novembre non dovrà solo decidere tra Trump e Hillary (noi si tifa per il primo, confidando in un crollo del dollaro e suicidi di massa sulla West Coast, due fattori che dovrebbero far scendere gli affitti). Soprattutto, altro che la più bella del mondo; fondamentali quesiti. La proposition 67 chiede ai cittadini: volete voi abolire per sempre le buste di plastica come già stabilito dal Senato dalla California (sì, le abolisci, no, le riammetti, effettivamente questi referendum californiani oltre che più pragmatici sono anche più chiari, in questo avrebbe ragione uno Zagrebelsky californiano, se ci fosse). Poi, proposition 64: volete voi mantenere la marijuana libera per uso ricreativo? (In California c’è solo per uso medico, vabbè). La voce più autorevole contro la proposition 64 è stata quella dell’arcivescovo di San Francisco, sua Eccellenza Salvatore Cordileone (si chiama così davvero). Come talvolta accade altrove, la chiesa cattolica voterà anche in California insieme al ceto medio più riflessivo. Se passa il sì, dice sempre il ceto medio riflessivo, porterà con sé tasse e regolamenti per la coltivazione, che metteranno in ginocchio i piccoli coltivatori favorendo invece le multinazionali (della canna) che già hanno pronte serre ipertecnologiche. Quella tra coltivatori bio e Monsanto dello spinello si annuncia come la grande temperie dei prossimi anni. Rimbomba l’assordante silenzio di Carlin Petrini e Vandana Shiva.
Per finire, proposition 60. Se approvata porterebbe l’obbligo del profilattico da tutti indossato e ben visibile nei film pornografici. E qui altra questione fondamentale: i sostenitori del sì (tra cui il Partito democratico sede di Santa Monica, che dev’essere il corrispettivo della sezione Pd appena chiusa di via dei Giubbonari) puntano sulla salute dei lavoratori (si introdurranno anche controlli sanitari sulle troupe). I partigiani del no lamentano invece che tutte le pornostar saranno d’ora in poi perseguibili penalmente e soprattutto civilmente, la maggiorazione dei costi, e soprattutto temono l’introduzione di squadre speciali di poliziotti condom-iniali e nuove magistrature democratiche a caccia di piselli non incappucciati nelle inquadrature. Lost in referendum noi intanto partiamo, a presto.