Sorveglianza e porno online. Cosa non va nella governance di internet
Due esempi inglesi, tra attacchi hacker e la regola delle 4 dita
Roma. Fino a oggi, i tentativi dei governi occidentali di regolare la sicurezza via internet hanno sempre creato polemiche e qualche disastro. Dai sistemi di sicurezza dell’Nsa americana sputtanati da Edward Snowden alle contestazioni contro il Patriot Act à la francese, bilanciare le necessità della sicurezza digitale con quelle del rispetto della privacy sembra un compito al di sopra delle capacità di qualsiasi legislatore – e questo non stupisce, perché nessun grande esperto è ancora riuscito a trovare l’equilibrio perfetto. Ma quando agli eccessi più o meno securitari si unisce una pruderie vittoriana si capisce che, a oltre vent’anni dalla sua trasformazione in un fenomeno cruciale per il mondo, la governance di internet è ancora un problema in gran parte non solo irrisolto, ma incompreso.
Due notizie arrivano in queste settimane dal Regno Unito. La prima riguarda l’“Investigation Powers Act”, una legge che rafforza i poteri dei servizi d’intelligence e delle forze di sicurezza e che è stata approvata da entrambe le Camere del Parlamento britannico lo scorso 16 novembre. Le principali novità della legge, introdotta nel 2012 da Theresa May quando ancora era ministro dell’Interno, riguardano la sorveglianza e la sicurezza digitale, e le nuove norme sono così dure che Jim Killock, il capo di una ong libertaria chiamata Open Rights Group, ha detto che “ora il Regno Unito ha la legge sulla sorveglianza più estrema mai approvata in una democrazia”. La legge prevede che i dati della navigazione internet, delle app usate e delle chiamate di ciascun utente siano conservati per un anno dai provider telefonici britannici (i quali però negli ultimi anni sono stati tutti soggetti di attacchi hacker spaventosi, cosa che li rende pessimi custodi dei dati privatissimi dei cittadini) e siano resi disponibili al controllo della polizia anche senza mandato. La legge dà inoltre alle forze di polizia il potere di hackerare i computer e i device di cittadini, istituzioni e aziende private (in questo caso però serve un mandato) e obbliga le compagnie come Apple o Google a sbloccare i loro servizi privati su richiesta del governo (anche se non è ancora chiaro come sarà possibile obbligare delle società straniere). La legge voluta da May, e passata sottotraccia nel gran trambusto di Donald Trump e della Brexit, dà un eccessivo peso alla sorveglianza non solo sulla privacy dei cittadini, ma anche sulla sicurezza dei sistemi digitali, in un frangente in cui fenomeni come gli attacchi digitali, gli hackeraggi di stato e i timori sulla compromissione di uno stile di vita regolato digitalmente stanno crescendo in modo esponenziale.
Protesta davanti al Parlamento inglese contro la nuova censura al porno (foto LaPresse)
La seconda notizia è più faceta, risale a pochi giorni fa e ha un sapore di antico moralismo: in un disegno di legge sull’economia digitale ancora in discussione, il governo intende bandire tutta la pornografia online giudicata “non convenzionale”. L’idea è quella di affidare il controllo del porno online alla stessa agenzia statale che regola la classificazione di tutti gli altri film, e che sul sesso consenziente tra adulti ha delle regole piuttosto strette. Citiamo il Guardian: “Foto e video che mostrano sculacciate, frustate o bastonate che lasciano segni, e atti sessuali che riguardano l’urinazione, l’eiaculazione femminile, le mestruazioni e il sesso in pubblico saranno probabilmente colpiti dal bando”. Il giornale inglese cita esempi ancora più pruriginosi, come una peculiare “regola delle quattro dita” per la stimolazione sessuale femminile: oltre le quattro è atto osceno. Al netto del delirio burocratico, e al netto dell’ampia possibilità che la lobby del porno (e la maggioranza silenziosa di visitatori di siti hard) ottenga dei cambiamenti al disegno di legge – cosa c’entra la sorveglianza online con la censura della pornografia? C’entra nella misura in cui delinea i due approcci fondamentali con cui il legislatore, inglese e non solo, si relaziona con il tema difficile della governance di internet: sorveglianza e moralismo. E se l’una è necessaria ma deve essere temperata con sapienza, l’altro è la lente peggiore per cercare di vedere quello che succede su internet. Insieme, poi, sono la ricetta perfetta di un disastro.