Nella Silicon Valley i grandi del tech tifavano Hillary ma donavano al Gop
Tendenza filorepubblicana, Microsoft in prima fila
Roma. Vuole la vulgata che la Silicon Valley sia un paradiso liberal fatto di macchine elettriche e di cibo macrobiotico, insieme a New York l’ultimo vero rifugio per quei pochi illuminati ancora non caduti nella squallida e bionda prigione del trumpismo. I magnati della tecnologia da sempre professano la loro fede liberal, durante l’ultima campagna elettorale americana la Valley, benché esitante a entrare direttamente nella mischia, era definita come un campo di caccia senza limiti per la candidata democratica, e all’indomani dei risultati del voto imprenditori e cittadini avevano promosso una petizione per staccare la California liberal dal resto dell’America redneck e trumpiana. Il mito della Silicon Valley immacolata e liberal, però, decade almeno in parte se si va a guardare i numeri. Lo ha fatto per esempio Thomas B. Edsall sul New York Times, che ha messo insieme tutte le donazioni elettorali degli imperi tecnologici e ha notato un fatto inatteso: nella campagna per il Congresso, i Pac legati alle grandi compagnie tecnologiche americane hanno donato molti più soldi ai candidati repubblicani che ai democratici. Sgombriamo il campo da ogni confusione: qui si parla dell’elezione dei legislatori al Senato e alla Camera americani e delle donazioni fatti dai Pac, in particolare quelli di Facebook, Google, Amazon e Microsoft.
Diverso discorso è quello delle donazioni ai candidati presidenziali, e dei soldi dati dai singoli dipendenti delle aziende tech, che sono andati in maniera preponderante a Hillary Clinton: i dipendenti delle compagnie di internet hanno donato 6,3 milioni di dollari a Hillary Clinton e solo 59 mila dollari a Trump. Ma per quanto riguarda i Pac, vale a dire le donazioni in un certo senso fatte direttamente dalle aziende, il discorso è diverso: dei 3,6 milioni di dollari donati da Facebook, Google, Amazon e Microsoft, 2,1 milioni sono andati a candidati repubblicani, e 1,5 milioni sono andati a candidati democratici. Se nella campagna per le presidenziali in America la scelta è spesso basata sulle personalità e sulle grandi visioni, nella corsa al Congresso si decide quale candidato sostenere in base alle singole posizioni politiche e all’orientamento su questioni pratiche. Con intensità crescente, le società della Silicon Valley scelgono le posizioni dei repubblicani. Questa tendenza, nota Edsall, parte da Microsoft, il cui Pac nel 2008 favoriva i candidati democratici con il 60 per cento delle donazioni, ma già a partire dal 2012 è passato a donare il 54 per cento ai repubblicani.
Nel 2016, Microsoft ha donato il 65 per cento dei suoi fondi a candidati ed enti del Gop. Nel 2016, in Microsoft, perfino il 53 per cento degli impiegati ha votato repubblicano. Stessa tendenza per Facebook: l’anno scorso il Pac della compagnia ha favorito per il 56 per cento i candidati repubblicani, mentre le donazioni degli impiegati sono ancora pro democratici, ma solo di un punto percentuale. Il fatto che sia Microsoft a capeggiare la tendenza filorepubblicana ha una ratio logica: tra tutte le compagnie tech, l’azienda di Redmond è la più antica e la più d’establishment, ed è la prima a mostrare i segni di un fenomeno di mutazione che molti analisti hanno notato: le grandi compagnie della Silicon Valley, dopo aver superato ormai un decennio fa (per Microsoft parliamo di un trentennio) la fase in cui erano startup rivoluzionarie, hanno ormai superato anche la fase in cui, pur essendo già giganti economici, mantenevano una qualità dinamica e tesa verso il continuo rinnovamento e l’autodisruption. Oggi Microsoft, Google, Amazon e gli altri sono big business al pari di General Electric o di Walmart, e votano come tendenzialmente ha sempre votato il big business, in maniera più allineata con i valori economici repubblicani, favorevoli alla deregulation, specie fiscale e alla riduzione del peso dello stato nell’economia. Che il cocktail ideologico della Silicon Valley fosse da sempre imbevuto di individualismo lo si è sempre saputo. Le elezioni del 2016, tuttavia, hanno mostrato che, quanto meno quando non c’è Trump di mezzo, i princìpi della Valley iniziano ad allontanarsi sempre più dalla tradizionale base ideologica dei democratici. Edsall cita un sondaggio secondo cui i sindacati sono una cosa buona per il 73 per cento degli elettori democratici. Solo il 29 per cento dei grandi imprenditori tech è d’accordo.