Foto Brian Harries via Flickr

L'Africa cresce grazie a quella tecnologia cui l'occidente ha voltato le spalle

Tommaso Alberini

Mentre da noi si fa la guerra a Uber e Airbnb, compie 10 anni M-Pesa, il sistema di transizioni finanziarie lanciato dalla kenyota Safaricom per supplire all’assenza di un sistema bancario strutturato

Il 6 marzo 2007 la società kenyota Safaricom, azienda pubblica partecipata dall’inglese Vodafone, lanciava il sistema di transazioni finanziarie ‘M-Pesa’. La società, che oggi compie 10 anni, funziona tramite telefoni cellulari e supplisce all’assenza di un sistema bancario strutturato nel continente africano. Il progetto è stato avviato anche grazie al Dipartimento per lo sviluppo internazionale del governo britannico, i cui ricercatori avevano notato che, pur senza banche, i kenyoti non rinunciavano ai benefici di un sistema di intermediazione finanziaria, agganciandosi alla bell’e meglio alle frequenze radiofoniche del paese.

 

A 10 anni dal lancio, M-Pesa ha 30 milioni di clienti in 10 paesi diversi e gestisce transazioni per 6 miliardi di dollari. Il bilancio dell’impatto che ha avuto sull’economia reale delle zone servite è strabiliante: diversi studi accademici ripresi dalla rivista Science hanno provato che, da sola, M-Pesa ha fatto uscire dalla povertà circa 194 mila persone. Non sorprende, dunque, che Standard Bank Group, la maggiore banca africana per numero di asset (con soli 15 milioni di clienti, la metà di M-Pesa)  nel 2015 abbia deciso di investire 1.4 miliardi di dollari in tecnologie mobili e cellulari.

 

M-Pesa non ha solo permesso di fare pagamenti, trasferire denaro e ottenere prestiti più o meno piccoli per avviare imprese e sostenere diversi mercati - altrimenti isolati da flussi economici vitali -: ha anche accompagnato molte zone dell’Africa, per lungo tempo esclusivamente rurali, verso una timida ma importante industrializzazione. Ha emancipato l’attività economica di molte donne, prima confinate al lavoro agricolo, ha imposto una crescente e fondamentale “educazione finanziaria” delle popolazioni interessate e ha reso il mercato del lavoro più flessibile e dunque più produttivo.

 

Se poi si prende in considerazione soltanto lo strumento utilizzato da M-Pesa per i suoi servizi – il cellulare – l’elenco di benefici e immensi impatti sociali ed economici che ha portato ai paesi emergenti si allunga a dismisura. In un villaggio africano, oggi, la tecnologia di un qualsiasi smartphone sul mercato è un collegamento imprescindibile con il resto del mondo. Gli agricoltori possono pianificare e gestire i raccolti in base alle previsioni metereologiche e possono valutare in quale mercato convenga vendere il raccolto in base ai prezzi offerti, mentre commercianti e artigiani possono scoprire dove trovare le materie prime che più gli servono e dove pagarle di meno.

 

Questa rivoluzione tecnologica, che in tutti i paesi emergenti corrisponde a una rivoluzione economica, è invece sotto tiro nei paesi occidentali che l’hanno avviata. Da Uber a Airbnb, da Facebook a Amazon, le aziende fondate sulle nuove tecnologie, in Occidente, sono disprezzate e attaccate molto più vistosamente e rumorosamente di quanto vengano sfruttate, tanto da indurre intere categorie a scioperare contro la concorrenza. I governi, dal canto loro, sono tirati per la giacchetta affinché intervengano a limitare l’accesso ai servizi di queste imprese, che sia attraverso una tassa sugli appartamenti messi in affito per qualche notte o l’imposizione di una licenza per dare qualche passaggio in auto a chi lo richiede.

 

Eppure non è vero, come ricorda Robert Colvile su CapX - rivista online del think-tank inglese Centre for Policy Studies – che da noi queste tecnologie “distruggono più economia di quanta ne creino”, mentre è certo che se “i flussi commerciali di beni fisici rallentano”, “i flussi di informazioni, dati, servizi e finanze stanno esplodendo”. Come rileva uno studio della McKinsey, la crescita del Pil di un paese, oggi, è direttamente proporzionale al grado di allacciamento e di apertura al secondo tipo di flussi.

 

“In Occidente – aggiunge Colvile – avere infrastrutture al passo col XXI secolo significa avere accesso a questi flussi, attraverso data centres e connessioni a banda larga, che oggi sono essenziali per la prosperità di un paese quanto lo erano l’elettricità e le linee ferroviarie nel secolo scorso”. “Il problema con la tecnologia e le connessioni che ne derivano non è che si siano spinte troppo in là, il problema è che non sono nemmeno lontanamente sviluppate quanto servirebbe”.

 

In giro per il mondo, oggi, ci sono più cellulari che esseri umani. 5.6 miliardi di persone, però, posseggono tutti i cellulari esistenti, mentre altri 2 miliardi di cittadini non vi hanno accesso: al cellulare come ai servizi finanziari essenziali. Il mondo sta vivendo un boom tecnologico, ma si stima che nel 2020 soltanto il 60 per cento della popolazione avrà accesso a internet, il che è un problema grave visto che l’accesso alla rete, come dimostra M-Pesa, è la nuova chiave del benessere economico. La globalizzazione dei mercati, con la diffusione di tecnologia e prosperità che ne deriva, non sta procedendo troppo velocemente. E’ vero se mai il contrario: è ancora troppo poco estesa. E ogni confine chiuso, ogni mercato limitato e “protetto” corrisponde a decine di migliaia di posti di lavoro in meno, di mancata ricchezza prodotta, di opportunità economiche bruciate.

 

Festeggiare il decimo compleanno di M-Pesa, con tutti i benefici che nel suo piccolo ha apportato al mondo, significa ricordarsi dei benefici prodotti dalla globalizzazione. Significa anche rendersi conto di quanto il ‘manifesto declinista’ di un numero sempre maggiore di partiti e forze politiche occidentali sia insensato. E sopratutto controproduttivo.

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