Il robot Teo, che gioca con bambini affretti da autismo (foto I3Lab - Politecnico di Milano)

Teo, Sam ed Ele, i robot che aiutano i bambini disabili

Antonio Grizzuti

"All’I3Lab sviluppiamo tecnologie per aiutare i bambini con disordini dello sviluppo cognitivo e i loro terapisti", dice il ricercatore Mirko Gelsomini. “Niente farmaci, siamo ingegneri”

Perché i robot? È una domanda che Mirko Gelsomini si dev’essere sentito rivolgere già molte volte nel corso della sua giovane carriera. Classe 1988, una laurea in ingegneria informatica all’attivo, dottorando di ricerca al Politecnico di Milano e al MIT di Boston, Mirko fa parte di quell’esercito di giovanissimi ricercatori italiani coinvolti in progetti all’avanguardia. Lui e altri scienziati gestiscono l’I3Lab (Innovative Interactive Interfaces Laboratory) la struttura dell’ateneo milanese coordinata dalla professoressa Franca Garzotto, che di recente si è aggiudicata il prestigioso IBM Faculty Award.

 

“All’I3Lab ci occupiamo di sviluppare tecnologie per bambini con disabilità, in particolare disordini dello sviluppo cognitivo come l’autismo e la sindrome di Down” esordisce Mirko. “Niente farmaci, siamo ingegneri” ci tiene a precisare, scherzoso ma non troppo: “i nostri sono companion robot il cui compito non è quello di sostituirsi al terapista, ma piuttosto facilitare la sua azione”.

 

Ma facciamo un passo indietro e torniamo alla domanda iniziale. L’effetto benefico dei robot nella terapia sui bambini affetti da disabilità cognitive è un fatto noto ormai da tempo alla comunità scientifica: opportunamente progettati e programmati essi possono diventare efficaci alleati di medici e caregiver. È qui che entra in gioco la squadra dell’I3Lab. “I robot possono essere un medium importante per insegnare al bambino delle abilità che speriamo possa poi acquisire nel mondo reale. Un robot può ripetere la stessa azione moltissime volte senza stancarsi e soprattutto non è suscettibile agli sbalzi d’umore cui, naturalmente, sono soggetti gli umani” spiega Mirko. In questo modo l’attenzione del terapista è totalmente concentrata sul bambino e la mente è più libera per monitorare e studiare i risultati ottenuti.

 

Ma come avviene la progettazione di un robot? “Prima di tutto contattiamo i medici che lavorano nel campo e concordiamo con loro le caratteristiche che esso dovrà avere in relazione all’obiettivo. Successivamente” continua Mirko “ci occupiamo della progettazione, sia hardware che software”.

C’è Teo, un morbido robot giallo alto circa quaranta centimetri che può essere controllato da remoto ma è anche capace di reagire autonomamente: invita ad interagire quando qualcuno si avvicina, sorride quando accarezzato, si spaventa se colpito. Realizzato nell’ambito del progetto KROG del Polimi, coinvolge il bambino in una dimensione ludica grazie a stimoli sensoriali mirati favorendo la comprensione di alcuni semplici task quali il riconoscimento di oggetti oppure colori. “Ogni robot ha una funzione diversa e mira a stimolare un’abilità differente. La scelta cade sul giocattolo per aumentare l’engagement del bambino. Oltre a Teo c’è il delfino Sam che può essere tenuto in braccio e indica le attività da svolgere sullo schermo, e l’elefantino Ele che, grazie ad una telecamera collegata al terapista, permette di dialogare sviluppando così le abilità sociali”.

Ma non ci sono solo i robot. Il team dell’I3Lab realizza anche giochi touchless, stanze “magiche” multisensoriali e applicazioni per visori di realtà virtuale. In quest’ultimo campo, spiega Gelsomini, la struttura è particolarmente all’avanguardia. “Forniamo un template di realtà virtuale facilmente personalizzabile dal terapista, che può costruire delle vere e proprie storie animate senza doversi rivolgere ad un programmatore, caratteristica che lo rende finanziariamente più sostenibile e perciò alla portata di un numero maggiore di strutture”. Lo scopo è quello di potenziare l’attenzione, infatti quando lo sguardo viene distolto dall’azione la storia si ferma. Ma in questo modo il bambino non rischia di “perdersi” nella realtà alternativa? “Per evitare che ciò accada abbiamo deciso di non implementare il visore con suoni e musiche: è la voce del terapista ad accompagnare costantemente il bambino. Inoltre le sessioni non durano più di un quarto d’ora”. Durante la seduta il visore raccoglie i dati che potranno essere successivamente analizzati dal personale sanitario.

Un robot/pupazzo realizzato dal MIT Media Lab per smorzare la tensione nei bambini ospedalizzati


I risultati sono incoraggianti, la strada sembra essere quella giusta. Nel tono cordiale e discreto di Mirko fa capolino un quid che non si può spiegare semplicemente con i successi accademici e che sembra avere a che fare con la forza miracolosa dei tanti bimbi speciali che contribuisce a far sorridere.