Israele è la frontiera della cybersicurezza
Cybereason, la startup israeliana che utilizza l’intelligenza artificiale per tracciare intromissioni di hacker, ha annunciato un investimento da parte di SoftBank di 100 milioni. Perché l'occidente si rivolge allo stato ebraico per combattere il cybercrime
Cybereason è una startup israeliana che utilizza l’intelligenza artificiale per tracciare eventuali intromissioni di hacker all’interno dei propri server. Non è l’unica, ma funziona a tal punto che dopo aver ricevuto nel 2015 un finanziamento iniziale da parte di SoftBank, una delle principali multinazionali giapponesi nel campo delle telecomunicazioni, di 59 milioni di dollari, e ulteriori investimenti da parte di CRV, Spark Capital e Lockheed Martin, ha annunciato ieri un nuovo investimento da parte di SoftBank di altri 100 milioni. Nuovi fondi che saranno indirizzati all’espansione a livello internazionale e a perfezionare il suo centro di ricerca e che permetterà all’azienda, che Bloomberg stima abbia una valutazione di oltre 850 milioni di dollari, di perfezionare il suo programma per la protezione dei dati aziendali. Un sistema complesso che attraverso un sistema di gestione dei Big Data capace di processare 8 milioni di eventi al secondo, non solo è in grado di rilevare intrusioni, ma che riesce anche (e soprattutto) a imparare automaticamente a gestire e replicare le tattiche d’intromissione degli hacker, respingendoli.
Una valutazione e un investimento che non devono sorprendere. Il settore della cybersicurezza è infatti in grande espansione tanto che un approfondito studio della Markets and Markets, una delle società di ricerca e consulenza più quotate al mondo, e citato da Forbes, ha stimato in 170 miliardi di dollari la spesa che le principali aziende al mondo sosterranno entro il 2020 per adeguare i loro sistemi per evitare il pericolo di hackeraggio, un incremento del 126,6 per cento rispetto ai 75 miliardi di dollari investiti nel 2015.
Il costante aumento degli attacchi hacker di entità rilevante negli ultimi anni in occidente, passati, secondo le stime del Maryland Cybersecurity center dell’Università del Maryland, dai 950 circa del 2010 agli oltre 2.500 dell’ultimo anno (1.093 solo in “suolo” americano), e che ha provocato la violazione di circa cento milioni di dispositivi e un’imprecisato numero di cloud e caselle di posta elettronica, ha provocato un deciso aumento delle preoccupazione per la perdita o la clonazione di materiale riservato. Secondo uno studio fatto dall’Università di Harvard se nel 2010 in America solo il 3 per cento delle aziende si dotava di una sistema di rilevazione delle intromissioni nei suoi apparecchi elettronici, questa percentuale è salita nel 2016 al 17 per cento e, almeno secondo le stime effettuate dai ricercatori, dovrebbe toccare il 62 per cento entro il 2020.
Un’attenzione alla cybersicurezza che sta portando soprattutto in Israele. Non è un caso infatti se Intel abbia stretto una partnership con l’acceleratore di startup Team8 per elaborare un piano di sicurezza contro gli attacchi hacker. La particolare situazione di pericolo che lo stato ebraico vive praticamente dalla sua fondazione, ha infatti nel tempo elaborato una sensibilità particolare per il settore della difesa e negli ultimi anni è diventato avanguardia nella lotta al cyber crimine. Sono circa 450 infatti le startup israeliane che lavorano nel settore e che ricevono il 20 per cento degli investimenti globali.
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