Il libro che verrà
Tra innovazione e obsolescenza, tra il disruptor e la sua vittima, non corre mai buon sangue. I tassisti non amano Uber, i giornalisti guardano con invidia il successo virale di Buzzfeed, i luddisti prendevano a mazzate i telai meccanici. Viene da pensare che nel mondo dei libri sia lo stesso. Che per i vecchi libri di carta l’arrivo di un avversario come l’ebook abbia provocato sconquassi, e che tra l’uno e l’altro mondo sia in corso una lotta per la sopravvivenza. Il leone divora la gazzella, e una volta indovinato quale dei due è il predatore la natura dovrebbe fare il suo corso, i librai e gli editori tradizionali dovrebbero odiare chi commercia in ebook, gli alfieri digitali dovrebbero ricambiare l’odio e la dialettica crudele dell’innovazione a scapito di chi c’era prima potrebbe così avere inizio. Per questo è una sorpresa quando dalla bocca di Alessio Santarelli escono parole come: “I libri di carta sono fantastici, sono strumenti fantastici”.
Santarelli è un dirigente di Amazon, il gigante americano dell’ecommerce, ed è il direttore per l’Europa del Kindle Store. In pratica, è l’uomo che gestisce nel Vecchio continente il più grande commercio di ebook del mondo. Conoscendo gli enormi investimenti di Amazon sul digitale, e la dialettica che spesso emerge dai media internazionali, verrebbe da pensare che Santarelli sia il più acceso difensore della transizione verso la lettura digitale a scapito della carta. Invece la sorpresa aumenta quando lo senti dire: “Io per ovvi motivi leggo quasi solo su Kindle, ma adoro regalare libri di carta”. Premessa: chi scrive è un talebano del digitale. Ho comprato il mio primo lettore di ebook circa otto anni fa, quando leggerci sopra era una pena indicibile, e coltivo il sogno, da realizzarsi entro una decina d’anni, di una casa senza carta, senza libri e senza polvere. In questa casa del futuro i muri saranno privi delle librerie stracolme che rubano spazio in tutte le stanze, e ci sarà un solo device, un Kindle o un altro lettore digitale, leggero e bellissimo, capace di ospitare al suo interno tutta la biblioteca di Babele e di eliminare quei relitti di un mondo passato chiamati libri di carta. In questa utopia totalitaria pensavo che avrei trovato in Santarelli un’anima affine. Invece il capo di Kindle Store Europa, e con lui Amazon, hanno un’idea molto diversa di come sarà la rivoluzione nel mondo della lettura.
A pensarci è abbastanza ovvio. Da sempre si ritiene che l’intervento di Amazon nel mondo della lettura sia legato soprattutto agli ebook. La società fondata da Jeff Bezos ha promosso la lettura digitale come nessun altro (l’ultimo device, presentato la scorsa settimana, è il Kindle Oasis), è stata monopolista di fatto nel mercato per i primi anni e la spinta innovativa verso il digitale è costante. L’associazione tra Amazon e il processo di disruption degli ebook è quasi automatica. Ma Amazon è soprattutto la più grande libreria del mondo. Bezos ha iniziato vendendo libri di carta e su quelli ha fondato la sua fortuna. Vista da questo lato, la spinta di Amazon per il digitale appare quasi contraddittoria. Perché la più grande libreria del mondo dovrebbe tenere al suo interno un elemento potenzialmente pericoloso per quello che fino a poco tempo fa era il suo business principale? Santarelli racconta che Jeff Bezos parla spesso di “willing to be misunderstood”, esser pronti a essere incompresi. “All’inizio alcune delle scelte che facciamo non sono capite. Nel caso degli ebook, quando ci siamo lanciati nel business tutti hanno pensato che, essendo noi la più grande libreria del mondo, il digitale avrebbe cannibalizzato la carta”, dice. “Ma alla fine abbiamo deciso di entrare lo stesso nel mercato degli ebook e di lasciare la scelta al cliente”.
Santarelli, manager italiano che si è formato in parte all’estero e ha fatto carriera nella finanza internazionale prima di entrare in Amazon nel 2011, a volte trova le parole in inglese prima che in italiano. La più importante di tutte è “format agnostic”, concetto che può essere tradotto con il più lungo “agnostico dal punto di vista del formato” e che è il cuore della strategia di Amazon nei confronti della lettura su carta e in digitale. “L’importante è che le persone leggano, in quale formato non ci interessa. Se vai sulla nostra pagina web vedrai che abbiamo cercato di rendere neutrale la scelta tra libro cartaceo e libro digitale, ci siamo evoluti in questo senso. Il libro può essere fruito in tutti i modi: in hardcover, in brossura, come ebook, come libro di Audible (il servizio di audiolibri non ancora diffuso in Italia, ndr), in abbonamento con Kindle Unlimited. L’obiettivo è che il contenuto venga consumato, in che modo è una scelta che lasciamo al cliente”.
La spiegazione immediata è semplice: per massimizzare il profitto Amazon deve saper accontentare sia gli ebook- nazi come me sia i topi di biblioteca nostalgici della carta. Ma la filosofia che sta dietro questo agnosticismo del formato è molto più interessante. Per Amazon il contenuto, che sia un romanzo o un saggio scientifico – ma il concetto può essere esteso alla musica, alle serie tv e alle altre forme di intrattenimento che la compagnia distribuisce e produce – è un’unica entità indivisibile e impalpabile che può essere declinata e commercializzata in infinite forme, o meglio in infiniti formati. Se non fosse un gigante commerciale con interessi crescenti in molteplici business, dall’intelligenza artificiale al cloud computing (quest’ultimo è stato il motore della crescita record del fatturato presentata giovedì nell’ultima trimestrale), si potrebbe quasi dire che Amazon è un agente culturale puro, interessato alla distribuzione (e alla monetizzazione, ovviamente) della cultura per se, indipendentemente dai metodi di fruizione. Questo è un privilegio di cui non gode quasi nessun altro dei grandi attori del mercato culturale odierno. Si prendano gli editori tradizionali, che prosperano da sempre su un mondo fatto esclusivamente di carta.
Il loro modello di business dipendeva principalmente da un formato, e quando i formati sono diventati molteplici la transizione si è mostrata difficile. “L’industria dell’editoria è una delle più antiche del mondo, e quando sono arrivati gli ebook sono stati uno tsunami”, dice Santarelli. “Amazon, che è un’azienda tecnologica votata all’innovazione, ha lavorato per trarre il massimo da questa novità, ma alcune realtà hanno fatto più fatica ad adattarsi a un cambiamento che è stato sicuramente disruptive. Il modo di produrre e distribuire i libri è cambiato, e di conseguenza è cambiato anche il modo di farne marketing ed è diventato tutto molto più veloce, più economico. C’è stata una smaterializzazione che ha richiesto di ripensare come prezzare e come commercializzare gli ebook e ha permesso la creazione di nuovi business model”. Santarelli cita Kindle Unlimited, la formula in abbonamento che permette di leggere tutti i libri digitali che si vuole, entro una determinata scelta, pagando un fisso mensile. “Un modello di abbonamento come questo non si può fare con la carta. Ci sono cose che non si possono fare con la carta”.
Per Amazon, dice Santarelli, l’ingresso nel mercato della lettura digitale ha avuto poche frizioni. “Ci siamo accorti, anzi, che nel momento in cui un cliente passa dal fisico al digitale legge molto di più e compra molto di più”, racconta Santarelli. “Quindi per noi, per gli autori, per gli scrittori, questa è stata una vittoria. Se l’obiettivo è che più si legge meglio è, ovviamente è una vittoria anche per i lettori, quindi non solo per chi guadagna dalle vendite. Tra i lettori digitali, inoltre, quelli che passano all’abbonamento di Kindle Unlimited leggono ancora di più. Questo dipende dalla customer experience. Con il digitale è molto più facile accedere al libro, c’è tipicamente un risparmio economico perché i libri digitali costano meno dei libri fisici. Nel caso di Kindle Unlimited, poi, la fruizione dei contenuti diventa ancora più facile. Più la lettura diventa un’esperienza semplice più riesci a coinvolgere i lettori”.
I critici dicono che è facile parlare di completa integrazione con il digitale quando Amazon è un semplice distributore. La società ha inaugurato di recente Amazon Publishing, la propria impresa editoriale, ma per ora si tratta di un “esperimento” piuttosto piccolo. Amazon distribuisce i contenuti prodotti da altri, nel caso dei libri dal mondo editoriale, e da questa posizione di vantaggio l’agnosticismo del formato non è un problema. Ma questo non significa, dice Santarelli, che con il mondo dell’editoria tradizionale si siano create delle dinamiche di contrasto e che gli editori tradizionali vedano necessariamente il digitale come un nemico. “Se si guarda per esempio agli editori inglesi e americani quotati in Borsa, e dunque tenuti a pubblicare i loro financial statement, si vede che negli anni hanno pubblicato dei profitti da record grazie al digitale. Con il digitale vengono meno capitoli di spesa importanti come la gestione del magazzino e dei resi. Anche nel mercato italiano, che pure è ancora piccolo se confrontato con mercati più maturi, gli editori hanno fatto dichiarazioni in questo senso. Continuano a investire tanto sul digitale, e lo si vede dai numeri del Kindle Store. Quando abbiamo lanciato Kindle nel dicembre 2011, sul nostro store c’erano 16 mila libri in lingua italiana. Oggi sono 125 mila e in continua crescita. Nel 2011, inoltre, sullo store italiano avevamo disponibili in digitale solo il 60 per cento dei primi 100 bestseller in classifica, oggi sono il 90-95 per cento. Questo vuol dire che sulle nuove uscite, sui best seller gli editori vogliono esserci, che l’investimento sicuramente c’è”.
Sui rapporti tra Amazon e gli editori Santarelli è rassicurante. “Le relazioni sono assolutamente ottime”, dice. “Negli Stati Uniti i negoziati con alcuni editori sono diventati molto più visibili sui media di quanto sarebbero dovuti essere, ma sono normali relazioni tra fornitore e cliente”. Il riferimento è alla lotta commerciale tra Amazon e alcuni editori americani, primo tra tutti Hachette, che nel 2014 ha coinvolto prima le due società, poi gli scrittori e i lettori in un botta e risposta di comunicati e lettere aperte che sui media fu interpretato come una specie di guerra di civiltà tra l’editoria tradizionale e il suo disruptor, con i vari giornali americani che prendevano parte per l’uno o per l’altro (il Times in quei mesi pubblicò una serie di articoli durissimi contro Amazon). Oggi Santarelli, dall’interno, minimizza quegli scontri come normale amministrazione. Una delle ragioni dello scontro, allora, fu il controllo del prezzo degli ebook. E’ una delle questioni annose del mondo dell’editoria digitale: perché se gli impalpabili ebook, per loro natura, hanno un costo inferiore a quello dei libri cartacei, anche al netto delle spese editoriali, il prezzo a cui sono venduti spesso è simile a quello dei loro corrispettivi fisici? Qui la risposta di Santarelli è stringata, ed è l’unico momento della discussione in cui sembra percepirsi quella dinamica contraddittoria raccontata dai media: “Ad Amazon siamo sempre stati molto chiari sul fatto che vogliamo che un libro digitale costi meno di un libro fisico. In alcuni casi non siamo noi a decidere il prezzo degli ebook e bisognerebbe chiedere agli editori che hanno deciso quel prezzo”.
Allora, forse, l’idea che ci sia una lotta sottotraccia tra libro di carta e libro digitale non è solo un’invenzione dei media. Ci sono molti altri indizi che sembrerebbero dimostrarlo, primo fra tutti la grande retorica, alimentata molto dai media cartacei, sull’inaspettato e prematuro crollo delle vendite degli ebook. E’ un discorso che va avanti da oltre due anni. Le vendite degli ebook, dopo un lungo periodo di crescita strepitosa e a doppia cifra, hanno lentamente iniziato a calare, per poi andare in negativo di recente. I lettori si stanno già stancando del digitale, si dice, è stata una moda passeggera, niente può battere l’odore della carta che si annusa tra le pagine di un libro appena comprato. Ad amplificare l’impressione di un crollo degli ebook sono arrivate negli scorsi mesi le notizie di alcune grosse catene di librerie, specialmente inglesi, che hanno annunciato di aver smesso di vendere i lettori digitali Kindle perché non erano più richiesti. Altre notizie, che spuntano a cadenza mensile, parlano di una risurrezione inattesa delle piccole librerie indipendenti, segno che i lettori non solo non vogliono il digitale, ma nemmeno la grande distribuzione. In molti hanno cercato di smontare questi numeri e questa narrativa. La versione di Amazon, dice Santarelli, è che chi parla del crollo degli ebook si sta perdendo dei pezzi per strada: “Molto spesso questi numeri non tengono conto del business del self publishing e degli abbonamenti digitali. Basti pensare che nell’ultimo anno abbiamo pagato agli autori indipendenti 150 milioni di dollari per partecipare a Kindle Unlimited, che ad oggi è un enorme motore di crescita per il business degli ebook. Per questo se guardo a tutto il mercato degli ebook, che non è solo l’editoria tradizionale ma anche il mondo del self publishing e delle subscription, lo vedo crescere anche in modo significativo”.
Quindi il leone sta mordendo la gazzella, il disruptor sta colpendo la sua vittima? Non esattamente, perché Santarelli ribalta perfino la retorica tradizionale della disruption, quella per cui l’innovazione provoca l’obsolescenza e il rimpiazzo del vecchio. Quando gli si chiede come immagina il mondo della lettura tra dieci o vent’anni, se la transizione verso il digitale sarà completa, lui ride e risponde che è divertente, ma infondata, “questa idea che ci sia un vincitore e un perdente”. “Non è una partita di tennis. Stiamo parlando di due mercati molto grandi e non vogliamo focalizzarci su una delle due partite. Vogliamo dare l’offerta migliore per il cliente in funzione di quello che sceglierà. Se alla fine ci sarà una prevalenza della carta o del digitale non lo so, saranno entrambi mercati che avranno lunga vita”.
Questo perché Amazon, lo dicevamo, persegue una strategia tutta diversa, e coltiva l’idea che l’innovazione si faccia su ciò che è stabile. L’idea che ci sia un nucleo di bisogni e di desideri che rimangono sempre gli stessi anche nel tempo, e che alla fine è intorno a essi e su di essi che bisogna innovare. “E’ la strategia che applichiamo per tutto il business, non solo nel settore editoriale. Vogliamo innovare sulle cose che non cambieranno. Di qui a dieci anni, i clienti continueranno a volere prezzi più bassi, più selezione, un accesso al contenuto più veloce possibile. Questo non cambierà mai. Noi ci focalizziamo su questa parte, quella che rimarrà nel tempo, e innoviamo intorno a essa. Tutto ruota attorno a questo pilone strategico”. E così si torna al punto di partenza, alla lettura come valore (anche economico) indipendente dal formato e dalla fisicità. A quanto pare, Amazon non ha interesse nel mio sogno di una casa senza libri, anzi.
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