Paint è morto, viva Paint
Il programma di Windows è antimoderno e inutile, perciò indispensabile. Viaggio nel controsenso di un software diventato oggetto di culto proprio quando doveva sparire
Trentadue anni dopo Windows potrebbe dire basta, niente più aggiornamenti a Paint, e questo era previsto, e forse niente più Paint. Con l’aggiornamento autunnale di Windows 10 infatti il programma dovrebbe essere incluso nella lista di software da eliminare. E’ il progresso, bellezza. L’avanzamento tecnologico che per far spazio a programmi funzionali cancella quelli che più non lo sono. E Paint non lo è più da tempo, un antesignano dei programmi di grafica che non regge il passo né dei moderni software per il disegno computerizzato, né tantomeno di Photoshop e dei suoi cloni di elaborazione digitale delle immagini. Un vecchio arnese della tecnologia, ormai del tutto inutile, perché obsoleto, perché incapace di offrire quei servizi necessari ad un’elaborazione dignitosa dell’immagine. E proprio per questo eccezionale.
Paint è un paradosso. Non serve, non aiuta, anzi a volte complica, non è indirizzato al lavoro e quindi si è fatto strumento perfetto, quasi indispensabile per i social network. E’ l’esemplificazione digitale di quello che Renzo Arbore chiamò “l’immancabile e insostituibile necessità della bellezza del brutto”, che non è solo il kitsch, è più, è il disutile, “il falso che è meglio del vero perché non appassisce, come i meravigliosi fiori di plastica”.
Paint proprio nel momento in cui doveva sparire, superato da software avanzati e sempre più funzionali, è tornato a essere usato. Una seconda vita che nasce dalla sua perfetta inutilità e facilità d’uso. Un gesto di resistenza inconsapevole, che si è trasformata in un riflusso, in un diluvio di disegnini brutti, fatti in pochi secondi, con tratto incerto, diventati poi meme, virali, essi stessi indispensabili come un social network. Si è trasformato in uno strumento di memizzazione di massa. E poi, visto che già c’era, di arte. Pat Hines ci ha illustrato un libro, dieci anni di lavoro pixel dopo pixel, Hal Lasko è finito al MoMa, Giorgio Fogazzà in una mostra al Peggy Guggenheim di Venezia. Perché anche il brutto e l’inutile “ha una sua doverosa dignità”, scrisse Milan Kundera.
E così parafrasando le Cinnamon degli Offlaga Disco Pax, a Paint “e a tutti i compagni caduti bisognerebbe dedicare una piazza davanti” ad un negozio di elettronica.