Così è diventato sempre più difficile aggirare la censura su internet in Cina
La guerra delle Vpn, con cui si accede ai siti proibiti, e la docilità di Apple nei confronti del governo che controlla il mercato digitale più grande del mondo
Roma. La Cina ha un rapporto di odio e amore con internet. Quella cinese, almeno nelle aree urbane, è una delle società più digitalizzate del mondo, ma al tempo stesso la rete è censurata e perennemente controllata da centinaia di migliaia di agenti del governo. Pechino ha imposto ormai più di dieci anni fa un “Grande Firewall” che blocca l’accesso dalla Cina ad alcuni dei più importanti siti internazionali, da Google a Facebook a Twitter a Wikipedia al New York Times, ma al tempo stesso ha sempre riconosciuto che una potenza mondiale non può crescere come dovrebbe se è isolata dal business digitale. Per questo, la censura del Grande Firewall è sempre stata lasca. Le aziende internazionali che operano in Cina e i cittadini stranieri residenti nel paese hanno sempre avuto la possibilità di accedere ai siti censurati usando le Vpn, app e programmi a pagamento che consentono di aggirare la censura. In questo modo i turisti stranieri potevano postare foto su Facebook, gli uomini d’affari internazionali continuavano a usare Gmail e il sistema poteva svilupparsi a due velocità: una piccola minoranza di stranieri e locali che usava le Vpn e la stragrande maggioranza della popolazione che conviveva senza troppi problemi con la censura di internet.
Questo sistema è andato avanti per quasi un decennio, fino a che, all’inizio dell’anno, Pechino non ha annunciato che avrebbe chiuso tutte le Vpn non approvate dal governo – vale a dire quelle usate dagli stranieri per aggirare la censura. L’annuncio ha provocato preoccupazione nella comunità degli affari per due ragioni: da un lato la difficoltà di accedere ai servizi internet e dall’altro il timore che far passare tutte le comunicazioni digitali attraverso canali controllati dal governo cinese significhi esporre comunicazioni strategiche e segreti industriali.
Dopo la paura iniziale, tuttavia, le cose sono tornate alla normalità, fino a che, negli ultimi mesi, il governo ha fatto capire a tutti che con la legislazione di gennaio faceva sul serio. A partire da giugno, il governo ha iniziato a chiudere le società cinesi che fornivano servizi di Vpn, e dieci giorni fa le compagnie telefoniche e di internet hanno iniziato a bloccare anche le Vpn con sede all’estero. Che l’attacco sia ormai ufficiale è diventato chiaro a tutti quando nel fine settimana Apple, la società californiana, ha annunciato di aver rimosso tutte le app di Vpn dal suo store online perché considerate illegali dal governo. Per Apple questo è un cedimento poco pubblicizzato ma clamoroso. La società guidata da Tim Cook si è sempre fatta vanto di proteggere la privacy e la sicurezza dei suoi utenti più di ogni altra cosa. Negli Stati Uniti, quando c’è stata la privacy in gioco si è perfino rifiutata di collaborare a indagini di antiterrorismo, come nel celebre caso di San Bernardino, quando Apple rifiutò di sbloccare l’iPhone del terrorista che uccise 14 persone in un centro per disabili nel 2015. Le Vpn non sono usate solo da turisti e uomini d’affari, anzi: per giornalisti, dissidenti e fautori della libertà d’opinione sono essenziali. Ma Apple ha ceduto docilmente a chi detiene le chiavi del mercato digitale più grande del mondo – dove per altro l’azienda di Cupertino arranca, incalzata da aziende locali più dinamiche.
Il blocco alle Vpn potrebbe essere una mossa preventiva alla vigilia del delicato Congresso d’autunno in cui il presidente Xi Jinping vedrà confermata la sua leadership, ma intanto ci dice che la Cina oggi si sente una potenza abbastanza solida da poter perseguire l’ideale di “sovranità digitale” promosso da Xi senza timore della reazione di aziende e partner internazionali – ancora due anni fa qualcosa del genere sarebbe stata impossibile. Ci dice inoltre che, nella Cina di Xi Jinping, l’ideologia e la tenuta del discorso politico valgono più del business – specie se il business non è made in China.
Il concetto di “sovranità digitale” che rifiuta l’apertura occidentale è un esempio per altri governi non democratici. Con una coincidenza che potrebbe non essere tale, sabato il presidente russo Vladimir Putin ha firmato una legge che proibisce l’uso delle Vpn in Russia a partire dal 1° novembre. Anche Putin, come Xi, vuole limitare la libera circolazione delle informazioni su internet alla vigilia di un appuntamento politico importante, le elezioni presidenziali di marzo 2018.