Homo technologicus
La Silicon Valley minaccia l’umano con la “distruzione della contemplazione”. Il nuovo libro di Franklin Foer
A questo punto anche gli osservatori più distratti d’occidente si sono resi conto che la Silicon Valley ha tradito le sue promesse. Il motto googliano “don’t be evil” è una barzelletta che non fa ridere, la mistica della diffusione istantanea delle informazioni per renderci adulti e consapevoli è una fake news, la prospettiva di un miglioramento della condizione umana grazie a un rapporto sempre più stretto e stringente con le macchine è offuscata, il mito delle startup iniziate in garage ha lasciato spazio alla realtà dei grandi monopoli che datificano e monetizzano. I ragazzini con le infradito che ammiravamo quindici anni fa per le loro invenzioni oggi sono manager con una reputazione peggiore di quella dei petrolieri. Quando non lavorano sullo sfruttamento intensivo degli utenti scrivono manifesti sulla connettività che salverà il mondo. Le adunate come quella nella circolare lucidità dello Steve Jobs Theater per il lancio dell’iPhone 8 sono scene da romanzo distopico di Dave Eggers.
Il nuovo libro di Franklin Foer, A World Without Mind, ripercorre ed esplora tutti i capi di imputazione che nel tempo si sono accumulati nel faldone della Silicon Valley, ma non si ferma ai peccati di business. L’ex direttore di New Republic, il maggiore degli onnipresenti fratelli Foer, non si limita alla denuncia dei “crescenti monopoli che aspirano ad abbracciare tutto della nostra esistenza”, ma individua la minaccia “esistenziale” di un’industria che ha sedotto e disilluso l’umanità. Il rischio esistenziale che Foer sottolinea non ha a che fare con scenari apocalittici in cui l’umanità sarà cancellata dalla faccia della terra oppure sottomessa all’infernale dominio delle macchine. E’ piuttosto la perdita silenziosa, consenziente di ciò che ci rende umani: “Quello che mi preoccupa in ultima istanza è che quando saremo privati della privacy, della libertà di scelta, quando inizieremo a unirci alle macchine in modo più deciso, a un certo punto smetteremo di essere umani”, ha detto Foer in un’intervista per il lancio del libro. Cosa significhi esattamente “smettere di essere umani” l’ex direttore di New Republic lo spiega con una frase che va al cuore del suo argomento contro i colossi del settore tech: “La distruzione della contemplazione”.
Ecco la minaccia esistenziale: “C’è tutto un ecosistema di giornalisti ed editori che viene schiacciato da questa nuova economia, e noi abbiamo bisogno delle loro parole per essere esseri umani contemplativi. Le suonerie, le notifiche, il clickbaiting continuo a cui siamo esposti interrompe ogni possibilità di contemplazione”. L’uomo realizzato, nella visione di Foer, è l’uomo contemplativo, il nemico per eccellenza dei mercanti che si contendono la nostra attenzione. Il soggetto ideale della Silicon Valley è l’uomo distratto, l’utente multitasking, soggetto instabile con la soglia d’attenzione di un preadolescente. Foer ha il pregio di non essere un estremista. Non fa crociate luddiste, non propone il ritorno a pennino e calamaio come alternativa credibile alla pervasività maligna dei grandi produttori tecnologici. Qualche anno fa gli è capitato di trovarsi alla confluenza di due eventi che hanno cambiato il suo sguardo sulla Silicon Valley. Da una parte, la lotta impari fra Amazon e gli editori per fissare i prezzi dei libri e gestire il mercato della distribuzione. Il colosso di Seattle non lasciava scampo agli interlocutori che, a suo dire, intendeva valorizzare. Dall’altra, il venerato magazine in cui lavorava è stato comprato da Chris Hughes, che era nel famoso dormitorio di Harvard dove è stato concepito Facebook, e per dar seguito alle sue presunte inclinazioni intellettuali si è preso il giornale in cui avevano scritto George Orwell e Virginia Woolf. L’avventura è finita malissimo, forse proprio per mancanza di contemplazione. A ben vedere, quella che articola nel libro uscito ieri in America non è una posizione contro la tecnologia ma contro il tecnologismo. Si tratta dalla riconduzione dei termini dell’umano a un’antropologia in fondo materialista e “collettivista”, dove l’enfasi sull’individuo finisce per produrre l’adorazione del vitello d’oro della connessione. Non importa chi connetta che cosa e per quale scopo. In fondo Larry Page, ricorda Foer, pensa che l’uomo sia un codice, un algoritmo “nemmeno troppo complicato”.