Da Uber a Dio, il guru delle auto che si guidano da sole fonda una religione
God is a bot. Cronache di transumanesimo in Silicon Valley
Non bastavano i ricconi che terrorizzati dalla fine del mondo acquistano costosissimi e lussuosi appartamenti interrati, i camioncini Us Postal Service che girano per le strade e consegnano marijuana a domicilio direttamente sulla scrivania dell’ufficio (in California è legale) o i manager strapagati che dormono in una roulotte nel parcheggio dell’azienda. In quanto a bizzarrie la Silicon Valley è la nuova Hollywood. Però se i protagonisti della seconda – spesso attori infelici, depressi, pluridivorziati e altrettante volte risposati – possono risultare stravaganti ma rimangono pur sempre con i piedi per terra, dalle parti di San Jose non è raro trovare all’interno della piramide umana personaggi tanto visionari quanto discutibili. Gente come Peter Thiel, cofondatore di Paypal e consigliere di Trump, uno convinto dell’incompatibilità tra democrazia e libertà e a cui piacerebbe disseminare l’oceano di piattaforme indipendenti guidate da regimi libertari. Nella Silicon Valley si concentra un’immensa ricchezza che non viene però dissipata unicamente tra festini e boutique, ma sente la necessità di delineare e difendere la propria identità per mezzo di un grande scopo, se non addirittura la fondazione di un’ideologia.
E’ in questa direzione che vanno Mark Zuckerberg e Priscilla Chan quando attraverso la loro fondazione dichiarano di volere curare “tutte le malattie del mondo”, o Elon Musk nel suo tentativo portare l’uomo su Marte. A rinfoltire il lato oscuro della Silicon Valley oggi ci pensa il trentasettenne ingegnere Anthony Levandowski. Un passato a Google dove ha lavorato al progetto Street View, nel 2016 fonda la startup Otto per accelerare lo sviluppo di automobili a guida autonoma. Otto viene acquisita appena qualche mese dopo la sua fondazione da Uber, ma lo scorso febbraio il manager viene accusato di aver sottratto a Waymo, sussidiaria di Alphabet, una mole impressionante di dati che lo avrebbero avvantaggiato nell’elaborazione dei nuovi progetti. Mossa che gli costa il posto anche per via dell’atteggiamento scarsamente collaborativo mostrato con gli inquirenti.
Abbandonate le mappe, i processori e le startup, il visionario ingegnere finisce per approdare al trascendente. Way of the Future è la chiesa fondata da Lewandowski per “lo sviluppo e la promozione del riconoscimento di una divinità basata sull’intelligenza artificiale e la comprensione e il culto del miglioramento della società attraverso tale divinità”. Nonostante la nuova confessione non abbia ancora completato l’iscrizione al registro nazionale delle istituzioni religiose, il magazine Wired è riuscito a mettere le mani sui documenti fondativi, rivelando sia l’identità del fondatore che i suoi principi cardine. Per quanto possa apparire stramba l’idea di fondo non è nuova. Si chiama transumanesimo, e altro non è che la versione tecnologica dell’Übermensch nietzschiano. Una visione che vede l’aumento delle sue capacità fisiche e intellettuali grazie all’utilizzo della tecnologia come il traguardo evolutivo dell’uomo.
Questa corrente ha prodotto una spiritualità che si spinge ad affermare che la singolarità – termine che indica il momento della storia nel quale i computer supereranno l’intelligenza umana – coincide in realtà con la seconda venuta di Cristo sulla terra. Un’interpretazione scartata dalla Chiesa Cattolica ma che affascina sempre di più protestanti e mormoni e le confessioni asiatiche, tradizionalmente slegate dal concetto di anima. E che grazie all’assist di Levandowski rischia ora di guadagnare nuovi, ricchissimi proseliti.
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