Geolocalizzarsi è diventata un'ossessione
Fine dei misteri amorosi e degli svariati “chissà dove sarà”: la risposta alla domanda “dove sei” è più ambita di quanto si possa credere
Chi siamo? Ma soprattutto, dove siamo in questo momento e dove siamo diretti? Noi siamo i posti che frequentiamo, o almeno così è riuscito a farci credere Facebook, al punto da aver imposto la moda di localizzarsi nelle attività del quotidiano, dalle più decisive a quelle completamente trascurabili, sempre dando per certo che il mondo se ne interessi e, in effetti la valutazione era corretta: la risposta alla domanda “dove sei” è più ambita di quanto si possa credere. La fiaba dell’hic et nunc non era mai stata così prossima alla realtà, e il refrain here i am delle canzoni probabilmente mai a tal punto letterale, e nessuno avrebbe sognato, tanti anni fa, che anche l’ultima delle bettole sarebbe stata resa celebre dall’I was here o da un vanitoso geolocalizzatore seriale, o compulsivo. Persino Whatsapp si è adeguato, e adesso consente di far sapere a tutti dove sono. Altra cosa, certo, rispetto a Fb, ma ha la sua dose di solennità, in una chat in cui l’aforistica dello status spazia dal motivazionale al revengeness, fino al "dacci dentro" e al "ve la metto in quel posto".
Narcisismo digitale? La funzione "Persone che potresti conoscere" di Facebook da divertente giochino che permette di trovare i vecchi compagni delle elementari, può diventare un Grande fratello in grado di svelare i più lubrichi segreti di famiglia. Lo testimoniano diversi casi raccolti dal sito di tecnologia Gizmodo, in cui l'algoritmo del social network ha messo in contatto persone insospettabili, dai clienti di una prostituta ai pazienti di uno psichiatra. Nel caso della prostituta, che vive in California, la donna si è vista consigliare come amici sul suo profilo "personale" alcuni clienti abituali, nonostante l'indirizzo email e il telefono che usava per lavoro fossero diversi e non avesse un profilo Facebook nella "vita parallela".
L'articolo parla dell'ossessione degli utenti dei social di geolocalizzarsi e delle conseguenze che ne derivano, e anche qui si ride e si piange. Per quale motivo la geolocalizzazione ha tutto questo seguito? Quali bisogni soddisfa? Fame di struttura, certo: uno dei bisogni fondamentali riguarda la necessità di organizzare la giornata in modo da colmare lacune e sfruttare il tempo a disposizione. L’eterno problema umano è la strutturazione delle ore di veglia. “Nusquam est qui ubique est”, dicevano gli antichi. Comunque, fine dei misteri amorosi e degli svariati “chissà dove sarà”, e nessuna immaginazione spinta oltre i limiti, grazie all’immediato e burocratico click che distribuisce collocazioni geografiche estenuanti, in cui lo spostamento è minuziosamente pianificato, con tanto di trailer e teaser di dove si è diretti, grazie agli immancabili count down, coming soon e can’t wait di rito prima di un viaggio, di un film, di una riunione di condominio, di un prelievo di sangue. Lo scenario è vasto: dai pendolari ai pedaggi ai ghiottoni dentro paninerie sempre più junkie. E quando non basterà più indirizzo e cap, sarà la volta posizioni incontrovertibili, rispetto a divani e sedie? L’ospite, era o meno a capotavola? E quanti battiti al minuto vantava, all’arrivo della seconda portata? Come l’incubo del nano di Amelie, teste di globetrotters sorridono, sbucando lungo pendici di catene montuose, da orizzonti di albe e tramonti, da filari di zenzero al reparto ortofrutta, su cavalli al trotto, a ridosso di ingessature e protesi ospedaliere, da piste aereoportuali, bacili, calici di pinot, vasetti di mostarda, siepi e campi di gran turco, specchietti retrovisori, torri eiffels.