Così la tecnologia rottama il lettino dello psicanalista
Andrew Ng, guru dell'intelligenza artificiale, ha creato con il suo team Woebot, un chatbot che simula l’esperienza di una seduta di terapia cognitivo-comportamentale
Woody Allen, uno che ha basato buona parte del proprio successo cinematografico sulle nevrosi, una volta definì la psicoanalisi «un mito tenuto in vita dall’industria dei divani». Un’ironia, quella dell’attore americano, in grado di esorcizzare uno dei più grandi drammi della nostra epoca. Ogni quaranta secondi infatti da qualche parte nel mondo una persona si toglie la vita. Trecento milioni di individui soffrono di depressione, al punto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito il male oscuro la «principale causa di disabilità a livello mondiale». Negli Stati Uniti, secondo i dati del National Institute of Mental Health, il suicidio è la decima causa di morte tra tutte le fasce d’età, la terza tra i dieci e i quattordici anni e la seconda tra i quindici e i trentaquattro anni. Nei campus universitari l’ansia o la depressione colpisce uno studente su due. Per non parlare della spesa: la cura della mente costa duecento miliardi di dollari all’anno.
Nella nostra società sempre più atomizzata il problema principale sono i rapporti umani rarefatti. «Probabilmente hai più di un amico che soffre di depressione della quale però evita di parlare» spiega sul suo blog Andrew Ng, guru dell’intelligenza artificiale, un passato da top manager e una cattedra a Stanford. Dopo aver lasciato a marzo di quest’anno il colosso cinese Baidu, per il quale ricopriva il ruolo di chief scientist, Ng ha aperto una nuova fase della sua carriera, convinto che l’intelligenza artificiale possa riservare grandi opportunità anche alla piccola e media impresa. Lo scorso giugno Ng era entrato a far parte del board di Drive.ai, un’azienda specializzata nello sviluppo di auto a guida autonoma della quale la moglie è cofondatrice e presidente. Pochi giorni fa ha annunciato il suo nuovo incarico di presidente a Woebot Labs, una startup californiana del settore healthcare che impiega ricercatori dello Stanford University’s Artificial Intelligence Lab e della Stanford School of Medicine.
«Stigmatizzare la depressione non fa altro che peggiorare la sofferenze di chi ne è affetto» prosegue Ng. Perché allora non chiedere dunque aiuto alla tecnologia? È per rispondere a questo interrogativo che Alison Darcy – quindici anni di esperienza nel campo della ricerca clinica – e il suo team hanno creato Woebot, un chatbot che simula l’esperienza di una seduta di terapia cognitivo-comportamentale.
Sul sito Woebot è rappresentato come un simpatico robot dagli occhioni blu spalancati e un cuore disegnato sul petto. «Sono disposto ad ascoltarti, ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni su sette» si legge sulla homepage. «Nessuna poltrona, nessuna pastiglia, nessun discorso infantile. Solo tentativi per migliorare il tuo umore». Una volta effettuata la registrazione, si può chattare in qualsiasi momento della giornata semplicemente aprendo Facebook Messenger. Il sistema obbedisce alla legge del machine learning: più dati è in grado di raccogliere e più accurate saranno le interazioni con la controparte. Per questo motivo al momento dell’iscrizione è consigliata la compilazione di un questionario piuttosto dettagliato e almeno una volta al giorno è preferibile descrivere il proprio umore al chatbot.
Se per lo psichiatra Paolo Crepet eliminare dalla psicoanalisi la relazione umana è «una follia», Andrew Ng definisce l’intelligenza artificiale «la nuova elettricità» che, seppure con molte limitazioni, è già oggi in grado di rivoluzionare numerosi settori.
«Woebot ha sostenuto più conversazioni di quelle che un normale terapista fa nel corso della sua carriera», sostiene orgoglioso. Uno studio pubblicato a giugno sulla rivista JMIR Mental Health ha dimostrato che il software «progettato per mimare il processo terapeutico ha le potenzialità per offrire una metodo alternativo e coinvolgente per somministrare la terapia cognitivo-comportamentale ai dieci milioni di studenti americani che soffrono di ansia e depressione». È arrivato forse il momento di rottamare il classico lettino e sostituirlo con uno smartphone?