L'altro lato di Amazon: per i venditori ci sono opportunità e giungla
La maledizione dell’industria tech americana è sempre la stessa: la piattaforma è diventata troppo grande e il suo ecosistema di venditori è incontrollabile
Roma. Il Black Friday è la festa del consumatore, il momento catartico in cui comprare oggetti inessenziali a prezzi di favore. E’ soprattutto la festa di Amazon, che il Black Friday non l’ha inventato, certo, ma l’ha reso cosa propria, esportandolo anche fuori dagli Stati Uniti, dove nessuno celebra il Ringraziamento ma tutti si tengono pronti per sapere chi sconta cosa il giorno dopo. In questo senso, il Black Friday è anche la festa dei venditori, dei magazzini svuotati dagli invenduti, della sicurezza che sono tutti là fuori a cercare offerte online.
Amazon ha un parco di venditori esterni che diventa più grande ogni mese. Sono migliaia e migliaia e sono imprese grandi o piccole che spostano parte del loro business su Amazon per approfittare della sua infrastruttura eccezionale e della grande esposizione potenziale offerta alle cose in vendita. In pratica, attraverso programmi di affiliazione semplici, quasi chiunque può vendere qualcosa su Amazon, ed entrare in un mondo fatto di ranking, recensioni, resi, clienti felici, insoddisfatti, scorretti. Per la stragrande maggioranza dei venditori di terze parti che lavorano su Amazon, il gigante di Seattle è una grande opportunità. Possono vendere i loro prodotti senza intermediari (eccezion fatta per Amazon stessa) e usare il miglior servizio logistico del mondo, quasi sempre migliorando il proprio business, spesso creandone uno da zero.
Ma la maledizione dell’industria tech americana è sempre la stessa: Amazon è diventata troppo grande, il suo ecosistema di venditori è incontrollabile, e la volontà di espansione continua ha fatto sì che fosse accettato quasi chiunque sulla piattaforma. La necessità di fare concorrenza ai siti di e-commerce cinesi, per esempio, ha fatto sì che negli ultimi anni Amazon si sia aperta ai venditori del gigantesco indotto di Shenzhen, la fabbrica del mondo, che hanno invaso il sito di copie, fake e cloni a prezzi stracciati (esistono tuttavia anche moltissimi business cinesi virtuosi, che hanno usato Amazon per vendere prodotti di qualità e fornire un servizio eccellente. Uno fra tutti: Anker). Poi c’è il problema celebre delle false recensioni. Funziona in maniera semplice: i venditori e produttori che vogliono farsi pubblicità e salire nei ranking di Amazon inviano il loro prodotto a utenti che giudicano molto attivi, promettendo un compenso (sotto forma di rimborso, buono sconto e così via) in cambio di una recensione (spesso è: in cambio di una recensione positiva).
Amazon ha dichiarato guerra a queste recensioni con incentivo l’anno scorso, denunciando e bandendo centinaia di venditori, ma questo ha soltanto fatto in modo che si creasse un gigantesco mercato sotterraneo di recensioni irregolari. Adesso i pagamenti ai recensori avvengono in maniera surrettizia, ma basta un’occhiata veloce al sito per notare che le cose non sono affatto cambiate. Online ci sono decine di “confessioni” di recensori prezzolati e pentiti, e su Facebook recensiti e recensori si scambiano trucchi e consigli perché, come è facile immaginare, questo mercato sotterraneo è pieno di insidie. Spesso i venditori non pagano il compenso pattuito, spesso i recensori prendono i soldi senza attribuire le agognate stellette. Un caso estremo di come sia diventato facile sfruttare i punti deboli di Amazon è stato descritto sul sito della Cnbc qualche giorno fa. L’inchiesta di Ari Levy racconta di un business americano fiorente di prodotti cosmetici che in pochi mesi ha perso 400 mila dollari su Amazon dopo che un altro venditore di terze parti ha messo in commercio un prodotto clone, copiando perfino le didascalie che corredano le foto. Il copiatore, definendosi “il virus di Amazon”, ha hackerato la mail del suo concorrente, indotto gli utenti a lasciare decine di recensioni negative, comunicato con Amazon in sua vece. La vittima della frode faceva dieci milioni di dollari all’anno grazie ad Amazon, ma dopo l’attacco (reso possibile anche a causa degli scarsi controlli di Amazon) è “in liquidazione”. Questo è un caso su un milione, ovviamente, ma se Amazon è un parco giochi per chi compra, chi vende spesso affronta la giungla.