La democrazia sui social è stata boicottata, ora si cambia
Facebook e Twitter si stanno trasformando, ci dice Craig Silverman
Milano. Qualcosa sta cambiando, i social network si sono accorti che non hanno più interesse a prendersi tutte le colpe di quel che accade nella sciagurata convergenza tra fake news, misinformazione e bolle ideologiche, con annesse teorie del complotto e manie di persecuzione, “magari negli Stati Uniti non ci saranno molte regolamentazioni, ma Francia e Germania già si stanno muovendo – dice al Foglio Craig Silverman, media editor di BuzzFeed News – Facebook o Twitter non hanno deciso di intervenire per un qualche istinto altruista, ma perché a loro non conviene passare soltanto come dei grandi imperi della manipolazione”. Si cambia perché si deve, perché la grande promessa di “un campo di gioco uguale per tutti” non è stata mantenuta, dice Silverman, che la settimana scorsa ha pubblicato, assieme ad Alberto Nardelli da Londra, l’inchiesta su Web365 che ha scatenato infinite polemiche in Italia. “Facebook ha subito deciso di chiudere alcune pagine”, tra cui DirettaNews e iNews24, “che avevano violato il regolamento” di Fb, ricorda Silverman, che ha visto quanto sono state dure le reazioni qui da noi, ma l’ha presa bene, dice con un sorriso che è così in molti altri paesi – e forse soltanto un anno fa tanta rapidità non ci sarebbe stata”.
In un articolo recente Silverman ha spiegato che “grazie a internet, il mercato delle idee è più democratico e aperto di quanto non lo sia mai stato. Ma grazie ai social network, questo mercato è stato anche truccato per premiare chi può manipolare le emozioni umane per detonare quegli algoritmi onnipotenti che scelgono chi vince e chi perde”. Il problema è il “flattening”, l’appiattimento, per cui, “dal momento che tutti sono sullo stesso livello, finiscono per rafforzarsi quelli che sono diventati esperti nell’ingannare il sistema”. E’ l’appiattimento che deve cambiare, perché non tutti sono uguali, soprattutto quando si tratta di informazione. Se tutti sono uguali, prevalgono quelli che non hanno dovuto investire sulla propria credibilità ma che giocano sulla quantità investendo su una delle più grandi debolezze degli utenti dei social: il bisogno di attenzione. Anche Jaron Lanier, guru della realtà virtuale e uno dei primi a denunciare, in anni in cui ancora tutti credevano nell’utopia dell’eguaglianza e della trasparenza dei social, parla del mercato dell’attenzione nel suo ultimo libro, “Dawn on the new everything” (che è un’autobiografia, ed è molto bello): il bisogno di attenzione, di essere rituittati, condivisi, laicati, fa da meccanismo di trasmissione delle fake news e delle bolle a tenuta stagna in cui ognuno si sente più sicuro, e amato. Ma se Lanier pensa che i grandi gruppi che governano i social network non abbiano alcun interesse a cambiare perché la manipolazione entra nella colonna dei ricavi, Craig Silverman è convinto del contrario.
Dice che “come con tutte le grandi trasformazioni, ci saranno delle nuove conseguenze che ancora non conosciamo, e la transizione sarà confusa e difficile”, ma il cambiamento è già in corso, per un banale calcolo di convenienza. Ora i social network stanno “apertamente rimuovendo contenuti, revocando privilegi in modo da mostrare agli utenti che cosa ha senso che attiri l’attenzione e che cosa no”. Stanno ribaltando il regime dell’appiattimento che era alla base della loro stessa natura, “in modo da ridurre il potenziale incredibile della manipolazione”, dice Silverman. Forse così la malainformazione e i bot perderanno la rilevanza che hanno oggi: si tradisce lo spirito iniziale dei social, ma è chiaro che quel processo di democratizzazione e “purezza” è ormai stato boicottato. Resta da capire in che modo si trasformerà il mercato dell’attenzione, a che trucco si andrà incontro, ma questo ancora non lo sappiamo.