Per combattere il proliferare di notizie false online non serve la censura , ma più consapevolezza
Un appello-manifesto del Digital Transformation Institute per affrontare il tema delle fake news in Italia andando oltre la retorica e le strumentalizzazioni politiche
1. Il problema delle fake news esiste da sempre: oggi si alimenta di nuove dinamiche
Le notizie deliberatamente false o artatamente modificate vengono intenzionalmente prodotte e diffuse da sempre. Le fake news diventano oggi un argomento centrale perché le piattaforme web e i social media eliminano qualsiasi mediazione e rendono inefficaci i filtri, i controlli, le regole professionali ed etiche dei sistemi editoriali tradizionali. Le reti attivano processi di destrutturazione del sistema dell’informazione, depotenziano i modelli centralizzati e creano nuovi ecosistemi informativi istantanei, permeabili e sempre più user generated. Le arene discorsive, una volta segmentate in base al controllo di codici complessi, perdono la loro identità ed il loro contesto. Tutti hanno accesso ad un unico contesto discorsivo/dialogico, generato dalle interazioni tra pari e subordinato solo a meccanismi specifici di piattaforma: dagli algoritmi alle policy. Ciò ha determinato grandi opportunità di espressione e confronto ma produce anche grandi rischi.
2. La dinamica generativa dei social media è enfatizzata dalla crisi del ruolo della scienza nell’era della ‘post-verità’
Il fenomeno delle fake news è enfatizzato dalla progressiva perdita di fiducia nei confronti dei sistemi che erano delegati ad “amministrare” la conoscenza scientifica e a dire la parola definitiva rispetto a ciò che è vero o falso. In un contesto in cui tutti parlano su tutto, la dimensione emotiva che attiene ad un fatto supera in importanza la stessa dimensione fattuale. Ciò che muove gli utenti alla condivisione di una posizione “ascientifica” o all’adesione a modelli di “scientificità alternativa” (dai #novax alle scie chimiche) è la vicinanza emotiva tra pari in un caso, e nell’altro la sfiducia nel metodo scientifico, che si associa alla retorica della compromissione della scienza con interessi specifici. Le reti sociali centrate sull’individuo offrono una tessitura discorsiva in cui il nesso condizione/conseguenza diventa una rivendicazione identitaria che prevarica qualsiasi argomentazione razionale e verificabile.
3. L’istantaneità della condivisione batte la necessità della riflessione
L’immediatezza della comunicazione azzera i tempi di riflessione ed il distacco emotivo consentito dai media tradizionali, sostituendo la riflessione alla “condivisione istantanea”. Essere immersi in un ambiente sociale discorsivo e di condivisione di contenuti impedisce il “raffreddamento” emotivo ed esalta un “riscaldamento” immediato della risposta e del desiderio di essere tempestivamente presenti nella comunicazione che sta avvenendo: la condivisione viene prima dell’approfondimento.
4. La censura non solo è contraria alla natura e alla struttura della rete, ma è inefficace
La natura aperta e adattiva della rete impedisce qualsiasi censura in quanto antitetica rispetto alle sue dimensioni strutturali (epistemica, morfologica e topologica), rendendo ogni tentativo in tal senso del tutto inefficace. Rispetto alle Fake News non esiste un “nuovo reato” da normare. Tutto ciò che vi è di giuridicamente rilevante ha già leggi che ne normano le dinamiche. Pensare di normare in maniera specifica ed esclusiva la dimensione digitale creando un doppio binario normativo creerebbe un’inammissibile asimmetria, ancor di più se si pensa che a risolvere il problema potrebbe dover essere chi ne gestisce la dinamica generativa.
5. La censura delle fake news non solo sarebbe inefficace ma sarebbe pericolosa per gli utenti
Affidare alle piattaforme il compito di verificatori delle fake news non solo è inefficace, ma pericoloso in quanto conferirebbe il ruolo di controllore della verità ad un sistema di attori che ha un grandissimo potere in un contesto in cui il sistema dell’informazione è già profondamente dipendente dagli attori della platform society e dagli algoritmi che ne determinano struttura e dinamiche.
6. Chi genera le Fake News ne è responsabile, ma chi le condivide ne condivide anche la responsabilità
In una rete il valore degli archi è esponenziale rispetto a quello dei nodi. Dal momento in cui l’elemento memetico della fake news si sviluppa (in termini di outreach) dal nodo nei molteplici archi che tende, la responsabilità dell’impatto delle fake news è anche in chi genera gli archi, oltre che di chi costruisce il nodo in sé. Si verifica la condizione paradossale per la quale la corresponsabilità generativa del falso in rete diventa importante quanto l’atto originario di generazione del falso stesso.
7. Le fake news sono prima di tutto un business
Non si deve cadere nell’errore delle teorie complottiste:se è vero che in alcuni casi le fake news sono generate con finalità propagandistiche o addirittura cospiratorie, la dimensione economica è spesso prevalente rispetto ad altre. Le fake news generano un valore economico direttamente collegato alla viralità e al coefficiente memetico dei contenuti che propagano.
8. Quale che sia la soluzione tecnica proposta per il problema, la segnalazione è sempre preferibile alla censura
Quale che sia il processo di identificazione delle potenziali fake news l’esito non deve essere mai di tipo immediatamente censorio. Qualsiasi soluzione deve basarsi su meccanismi di segnalazione ed alert che indichino all’utente che si trova di fronte ad una notizia potenzialmente a rischio. Ciò genera una dinamica di corresponsabilizzazione nella consapevolezza dell’azione di condivisione che evidenzia il ruolo attivo dell’utente. In tal modo non solo ragionevolmente si abbatte la velocità di diffusione delle fake news, ma si contribuisce alla costruzione di un esercizio di riflessività – individuale e collettiva– che si basa e che promuove consapevolezza negli utenti.
9. Qualsiasi meccanismo di controllo delle Fake News deve basarsi su dinamiche trasparenti, aperte e iterative
Si deve rendere trasparente e verificabile da terzi il meccanismo generativo che ha prodotto la decisione, così che si possa agire attraverso modalità iterative che possano ridefinire se necessario o opportuno tale decisione, valorizzando cooperazione e intelligenza collettiva e creando esternalità positive. In tale meccanismo non si sovraccaricano le piattaforme di responsabilità che non devono né possono avere, ma si assegna loro la funzione strategica di abilitatori del dibattito e garanti del processo in una posizione di terzietà rispetto ai temi.
10. Una norma da sola non risolverà il problema. Serve cultura, educazione e consapevolezza negli utenti
Come per l’hate speech, con il quale condividono numerosi elementi, la rilevanza del fenomeno delle fake news è inversamente proporzionale al livello di consapevolezza degli utenti (digital literacy) rispetto all’ecosistema informativo nel quale si muovono. La soluzione al problema è quindi soprattutto di tipo culturale, attenendo ad un livello di consapevolezza da parte degli utenti la cui acquisizione dipende dal coinvolgimento di una pluralità di elementi: dal sistema scolastico e formativo alla qualità del dibattito pubblico alla correttezza ed al senso civico degli attori politici che lo alimentano. Le piattaforme non possono trasformarsi in censori su delega governativa: devono invece attivamente promuovere lo sviluppo delle competenze e della cultura del rispetto e della partecipazione, indispensabili per esercitare il diritto di cittadinanza digitale dei loro utenti.
Stefano Epifani, presidente dell’Istituto e docente di Social Media Studies alla Sapienza, Alberto Marinelli, comitato scientifico dell’Istituto e docente di Nuovi media alla Sapienza, Giovanni Boccia Artieri, membro dell’istituto e docente di Nuovi media alla Carlo Bo di Urbino
Per info: digitaltransformationinstitute.it