Internet per giganti
La decisione americana sulla net neutrality è la fine degli spiriti animali della rete
Roma. Sulla net neutrality – il principio di difesa dell’utilità pubblica della rete internet che una commissione federale americana ha cancellato giovedì (la cosa vale solo per gli Stati Uniti, ma potrebbe avere ripercussioni anche da noi) – ci sono due grandi scuole di pensiero, egualmente allarmistiche. Veloce ripasso su cos’è la net neutrality: l’idea in base alla quale la rete internet deve essere considerata come una strada pubblica. Chi difende la net neutrality dice che sulla strada di internet tutti i veicoli hanno diritto di circolare, e che i gestori delle strade (nel nostro caso: i grossi provider come Comcast in America o Telecom in Italia) devono essere obbligati a far viaggiare tutti alla stessa velocità, che si tratti di utilitarie o di enormi tir. Altri dicono che questa parità è svantaggiosa per i gestori, che a forza di far viaggiare tutti non hanno più soldi per sistemare le buche e costruire corsie nuove. Senza net neutrality, i gestori della strada possono decidere di far pagare di più i tir piuttosto che le automobili, o di offrire corsie a scorrimento veloce. Possono perfino decidere di lasciare ferme alcune auto.
Ecco, giovedì la Fcc, la Commissione federale per le comunicazioni americana, ha deciso di adottare questa seconda strategia, eliminare le regole sulla net neutrality che c’erano in precedenza e lasciare ai provider (a chi possiede i tubi, i cavi e in generale tutte le infrastrutture in cui scorre internet) la piena libertà su come gestire la rete. Per i fautori della net neutrality, questa è la fine della rete. Internet nasce come una struttura end-to-end, in cui ogni snodo della rete ha lo stesso peso di tutti gli altri. Se voglio aprire un blog o un business online posso farlo perché con la net neutrality sulla strada di internet tutte le automobili possono viaggiare alla stessa velocità. Senza net neutrality, invece, ci sarà qualcuno ai caselli che può bloccare o rallentare il mio business.
L’ipotesi più nera fatta dai fautori della net neutrality è che la rete diventi come la tv satellitare e via cavo: se adesso paghiamo per avere tutto internet, in un futuro internet potrebbe essere venduto a pacchetti, come Sky Cinema o Sky Sport: vuoi usare Facebook? Compra il pacchetto social a 29 euro. Vuoi fare acquisti su Amazon? Compra il pacchetto ecommerce a 19 euro. Vuoi guardare Netflix? Pacchetto streaming a 29 euro, più altri 4 euro e 99 se vuoi vedere le serie ad alta definizione. E tutti gli altri siti che non sono nei pacchetti? Non si sa, ma questa per ora è soltanto un’ipotesi, e i provider americani (di nuovo: parliamo di Stati Uniti, l’Ue per ora rimane fedele alla net neutrality) hanno detto che non avverrà. Ci sono anche questioni di concorrenza: Comcast, per esempio, potrebbe decidere di far caricare più veloce i video del suo servizio di streaming e di far andare Netflix più lento. Insomma, senza net neutrality, dicono i suoi fautori, internet libero è spacciato perché una nuova serie di guardiani potrà decidere chi entra e chi no, chi ha successo e chi no.
Dall’altra parte della barricata, chi è contrario alla net neutrality, come per esempio il capo della Fcc Ajit Pai e il Wall Street Journal, dice che già adesso internet non è libero e la net neutrality è una panzana. Certo, con la net neutrality chiunque ha diritto a far vedere il proprio sito, ma davvero ha gli strumenti per farlo arrivare al pubblico? No, perché su internet ci sono già potenti guardiani come Google e Facebook che decidono con i loro algoritmi chi entra e chi no, chi ha successo e chi no. E dunque, davanti a questo strapotere monopolistico delle compagnie che detengono il completo controllo sui contenuti (la Silicon Valley), deregolamentare e dare più potere alla compagnie che gestiscono le infrastrutture (i provider della rete) non può far male. La net neutrality serve a difendere Google e Facebook, dicono i suoi detrattori, a difendere i consumatori ci pensa l’antitrust.
Le due posizioni sembrano inconciliabili. Da un lato chi dice che internet è minacciato dai monopoli dei provider (Comcast, AT&T, che in America equivalgono a Telecom e Fastweb), dall’altro chi dice che internet è minacciato dai monopoli dei gestori di contenuti (Facebook, Google e così via).
L’opzione peggiore di tutte
Qui vogliamo assumere una posizione ancora più pessimista: e se fossero giuste entrambe le posizioni? I detrattori della net neutrality hanno ragione quando dicono che internet è già pieno di gatekeeper e monopoli. Ma compiono un errore quando, anziché di cercare di eliminare questi gatekeeper, ne aggiungono altri nella figura dei provider. Da ieri, internet in America è dominato da due forze ugualmente spaventose: grandi aziende che hanno potere assoluto sull’infrastruttura e grandi aziende che hanno potere assoluto sui contenuti. Schiacciati in mezzo ci sono gli utenti (cioè noi), che rischiano di vedere i prezzi salire e la qualità dei contenuti degradarsi. Soprattutto, potrebbe esserci l’innovazione. Ora che internet è un affare per giganti, storie come quella di Facebook, nato per gioco all’università e diventato una superpotenza, sono impossibili. Se una startup innovativa si mostrasse all’orizzonte, sarebbe schiacciata subito dai titani. Forse il fenomeno è fisiologico: è ora che gli spiriti animali di internet si plachino e diventino più istituzionali. Ma l’anarchia di internet ci ha dato così tante cose belle (e folli e pericolose e perverse) che ora è difficile rinunciarvi.
Cose dai nostri schermi