E se questa volta Facebook avesse trovato l'algoritmo giusto?
Vedere più post degli amici serve anche contro le fake news
Stavolta il post di Mark Zuckerberg è stato breve e in una certa misura persino convincente. Contrariamente agli ultimi post zeppi di buoni propositi e confuse ideologie, in quello del 12 gennaio Zuck spiega che nel 2018 cambierà l’algoritmo della sua creatura che ci presenterà di più i post degli amici e dei familiari e di meno le inserzioni e i contenuti informativi. Il fondatore del social più frequentato del mondo prevede anche che così si passerà meno tempo su Facebook ma che sarà un tempo di maggior valore. Inutile dire che per ora sui giornali maggiori, a partire dal celebre New York Times, si leggono soprattutto commenti contrari. Sono proprio questi commenti stranamente in disaccordo con l’osannato fondatore che spingono a vedere che cosa succeda davvero.
Certo, Zuckerberg spiega la sua nuova politica con il solito linguaggio sentimentale della sinistra bene americana, stucchevole solo quanto il suo omologo di ascendenza repubblicano-arrabbiata, ma tale linguaggio non ha mai ostacolato l’unanime condivisione delle sue vedute. Invece, stavolta, i soliti noti non concordano. Si potrebbe malignamente pensare che non siano d’accordo per interessi commerciali. Come mi fa notare una giovane imprenditrice di comunicazione, il nuovo algoritmo renderà pure la vita più difficile al click baiting, il trucco di mettere notizie o contenuti sensazionali per aumentare i clic e la vendita di pubblicità, ma complicherà anche la normale, onesta comunicazione commerciale, mettendo in crisi un piccolo ma necessario settore economico-sociale. Tuttavia, non è questa l’obiezione filosofica che viene opposta alla scelta di Zuckerberg.
L’obiezione filosofica si incentra sul fatto che il cerchio delle amicizie e delle famiglie rischia di rinchiudere le persone in una sfera privata dove aumenta l’auto-conferma delle proprie piccole e grandi ideologie o, peggio ancora, di rinchiudere ancor più nel privato gli esseri umani occidentali già così individualisti. Sarà, ma dopo tutti questi anni di fake news e di dominio della cosiddetta post-verità dovremmo aver capito che le cose non stanno così. Il bacino immenso del social network, gli appelli al pensiero critico e persino gli strumenti di controllo – il celebre fact checking, il controllo dei fatti – quantomeno non hanno funzionato. Le bufale, i meme, le falsificazioni hanno continuato a impazzare su tutti i social, indifferenti ai preoccupati appelli dei commentatori. Costoro normalmente si limitano a dire che non è il metodo che è sbagliato ma che il mare di non verità è troppo grande e la gente troppo cattiva o maleducata. La ricetta di uscita da questa situazione consiste sempre in più corsi di pensiero critico, magari conditi con qualche appello etico.
Zuckerberg, invece, cita delle ricerche, soprattutto psicologiche, che puntano in un’altra direzione. Purtroppo non le nomina esplicitamente, ma con la ricerca puramente esistenziale e filosofica forse si poteva arrivare alla stessa indicazione. Il pensiero davvero critico, infatti, non può essere quello che comincia con il dubitare di ciò che si ha davanti e delle sue fonti. Le fake news e la post-verità nascono proprio da cinquant’anni di questo pensiero critico che ha così messo in discussione ogni verità e realtà da farci pensare che alla fine tutto equivalga a tutto. La tanto deprecata comunicazione di Trump è figlia di questa educazione, non una sua antagonista. Occorre un affronto diverso del pensiero critico che lo fondi non sullo scetticismo e sull’intellettualismo ma su quella radice affettiva della ragione che famiglie e gruppi di amici tendono a difendere più dei controller autorizzati. Certo, anche le famiglie e gli amici possono essere ideologici, ma non è forse vero che le smentite più forti alle nostre presunzioni o alle nostre ideologie, le richieste più appassionate di verifica, l’ironia più pungente avvengono spesso in questi luoghi quando essi sono uno spazio di confronto diretto e libero? Stavolta, Zuckerberg e i suoi ricercatori potrebbero aver messo mano davvero su qualcosa di originale in questo campo. Forse non riuscirà neanche questo tentativo, ma – come diceva Edoardo Bennato – “chi ci ha già rinunciato e ti ride alle spalle, forse è ancora più pazzo di te”.