Facebook ha fregato i giornali e vuole scaricare le news. Bene così
Il nuovo algoritmo e un'evidenza: “Facebook ha chiuso con il giornalismo. Succederà lentamente, gradualmente, ma il trend è innegabile”
Roma. C’è stato un tempo in cui Facebook era il più importante editore di news del mondo. In cui il social network era consultato da miliardi di persone tutti i giorni come principale e spesso unica fonte di notizie, in cui gli editori dei giornali del globo mendicavano davanti ai cancelli di Menlo Park per ottenere più visite, più sponsorizzazioni, più partnership, più engagement. Secondo molti analisti, questo tempo potrebbe essere finito la settimana scorsa, quando Facebook ha annunciato con grande risonanza che intende cambiare il modo in cui i suoi utenti si rapportano al social, modificando il suo algoritmo per valorizzare gli scambi significativi e personali e ridurre il peso dei contenuti di altro tipo, come per esempio i video non personali, la pubblicità invasiva e, appunto, le news. Facebook ha presentato il cambiamento come una rivoluzione che riguarderà l’intero ecosistema e cambierà in maniera generale i rapporti tra chi produce contenuti e chi ne usufruisce, ma è diventato sempre più chiaro – almeno agli occhi di alcuni analisti esperti – che questo cambiamento in realtà riguarderà soprattutto – per non dire: soltanto – una categoria di contenuti: le news e il giornalismo.
“Facebook ha chiuso con il giornalismo. Succederà lentamente, gradualmente, ma il trend è innegabile”, ha scritto ieri l’esperto di media Frederic Filloux nella sua newsletter settimanale, Monday Note, aggiungendo di non fidarsi dei dirigenti di Menlo Park che continuano a dire che “le news rimangono per noi tra le massime priorità”. Su BuzzFeed, Charlie Warzel ha scritto che nella sede di Menlo Park nessuno tra dipendenti e dirigenza si è stupito troppo del cambiamento: tutti già sapevano che l’esperimento con le news era un fallimento da chiudere il prima possibile e che Facebook doveva smettere di fare l’editore di giornali per ricominciare a fare quello che sa fare meglio: connettere le persone. Il “pivot” sulle news, scrive Warzel, era avvenuto nel 2013 per contrastare Twitter, che al tempo sembrava una minaccia. Poi Twitter, si sa, è rimasto nella sua nicchia, ma ormai Facebook era entrato nel gioco ed è stato difficile uscirne, anche se le news non sono un gran business: rendono poco, sono un incubo di pr (lo scandalo delle fake news dice qualcosa?), sono un peso per l’espansione in mercati chiusi come la Cina e la Russia (l’ha notato Wolfgang Blau, presidente di Condé Nast International) e soprattutto cambiano ambiente: Facebook non è più il social in cui si ritrovano gli amici e si postano foto di vacanze, superato in questo da Snapchat, Whatsapp, e altri. A Zuckerberg, insomma, può convenire scaricare le news. Ma ai giornali?
“I giornali sono stati fregati”, ha scritto Filloux, e lo si nota bene dall’isteria con cui molti direttori ed editori hanno accolto la notizia dei cambiamenti nell’algoritmo, temendo perdite di visite nell’ordine delle due cifre percentuali. Moltissime testate in tutto il mondo avevano investito su Facebook, da un lato ottimizzando i loro contenuti in maniera specifica per la piattaforma e dall’altro con programmi di partnership, e adesso rischiano di trovarsi spiazzati. Ma una volta passato lo choc, forse essere fregati da Facebook può fare bene ai giornali. In troppi hanno sperato in Mark Zuckerberg come nel deus ex machina del giornalismo in crisi di denari e di idee. Troppi hanno mascherato l’assenza di innovazione appoggiandosi sulle tecnologie di Facebook, che non erano fatte per il giornalismo. Si è visto. Adesso non ci sono più scuse.