I lanci spaziali di Elon Musk ci ricordano com'è fatto il sogno americano
Il Falcon Heavy, il razzo più potente dai tempi degli Apollo, è partito da Cape Canaveral e ha suonato "Life on Mars" di Bowie
Roma. Prima ancora che un visionario e un genio, Elon Musk è il più grande comunicatore dei nostri tempi. Basta fare un elenco dei suoi risultati: Musk ha reso desiderabili le auto elettriche (ricordate che cosa patetica erano prima dell’arrivo delle Tesla?), ha guadagnato milioni di dollari vendendo lanciafiamme (veri) come oggetto di divertimento, e soprattutto ha fatto rinascere nel mondo la voglia di andare nello spazio. Non l’ha fatto da solo ché se l’India invia una missione su Marte e la Cina annuncia la conquista della luna Musk ha poca voce in capitolo, ma se bisogna indicare una sola persona responsabile del fatto che abbiamo ricominciato a interessarci alle stelle e all’esplorazione della galassia questo è lui.
Il lancio del razzo Falcon Heavy, il più potente dai tempi delle missioni Apollo, è stato in questo senso una delle più meravigliose operazioni di marketing della storia. Il lancio è avvenuto martedì a Cape Canaveral dalla stessa rampa da cui le missioni Apollo partivano per la luna. L’evento è stato seguito in diretta e da più angolazioni con telecamere ad alta definizione, che hanno proiettato dati e infografiche. Il Falcon Heavy è un vettore gigantesco formato da tre razzi Falcon 9 tenuti insieme, capace ipoteticamente di portare un equipaggio umano sulla luna e anche oltre. Le telecamere hanno mostrato in diretta streaming dapprima la coreografia perfetta con cui i due lanciatori laterali, dopo essersi staccati dal corpo centrale del Falcon Heavy, sono riatterrati intatti a Cape Canaveral, e poi il momento in cui il razzo ha rilasciato nello spazio il suo carico: un’auto decapottabile Tesla con dentro il manichino di un astronauta che, con nonchalance, appoggia un gomito fuori dal finestrino e fa suonare “Life on Mars” di David Bowie all’autoradio (Musk aveva promesso che la Tesla avrebbe suonato “Space Oddity”, che sarebbe stata una colonna sonora più adatta per un manichino-astronauta che orbiterà per sempre nello spazio profondo, ma per qualche ragione ha cambiato idea all’ultimo minuto). Insomma, quando è andata in streaming in tutto il mondo l’immagine di una Tesla guidata da un astronauta che fluttua nello spazio scuro con la Terra azzurrissima sullo sfondo è stata l’apoteosi.
Abbiamo parlato di operazione di marketing perché proprio a questo era dedicato il lancio di martedì: convincere i possibili clienti privati e soprattutto la Nasa che SpaceX è pronta per ricominciare la conquista dello spazio non solo con gli agili Falcon 9 ma anche con mezzi pesanti. Ma c’è molto di più. Da anni non succedeva che milioni di persone in tutto il mondo fossero attaccati agli schermi (un tempo era la tv, oggi lo streaming) per seguire un lancio spaziale. Qui sta il genio di Musk. Perché il suo spirito da comunicatore epocale e le sue capacità imprenditoriali sono a servizio di un tipo di innovazione che sembrava perso da decenni, quello dell’America del boom, quando ci si immaginava automobili volanti e la colonizzazione di pianeti in galassie lontane. Da più di vent’anni questo tipo di innovazione si è perso, da quando la Silicon Valley e le aziende di internet hanno monopolizzato il campo. La fabbrica dei sogni è diventata una fabbrica di big data in cui gli ingegneri passano il tempo a decidere con che colore enfatizzare i contorni del bottone “like” per massimizzare le condivisioni – l’innovazione hard degli anni Sessanta ha lasciato il passo all’innovazione liquida del Ventunesimo secolo, con cui si fanno più soldi ma non si ispirano i popoli. Certo, alcune compagnie come Google non hanno perso la scintilla e finanziano “moonshot” visionari, e certo, lo sviluppo dell’intelligenza artificiale non è meno futuristico della corsa allo spazio. Ma solo uno dei grandi tecnocrati dei nostri giorni ha fatto del sogno americano del progresso il suo core business, e questo è il capo di Tesla e SpaceX. E’ per questo che Musk è importante. Non tanto perché sta contribuendo in maniera fondamentale allo sviluppo di grandi invenzioni, ma perché ricorda – all’America e a noi – che l’innovazione e il progresso non si fanno soltanto con i like, i retweet e gli share.
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