Consigli per l'Italia dall'ambasciatore di Airbnb
Incontro con Chris Lehane, ispiratore del capostaff perfido di House of Cards. Che sul M5s non si sbilancia: "Un'ondata, il populismo è un fattore ciclico"
San Francisco. Mentre il Partito democratico della California è riunito ufficialmente nella sua convention, e nessuno se lo fila, le grandi società a trazione democratica affinano l’agenda. A un convegno organizzato dal giornalista John Battelle sfilano i partiti-azienda: il ceo di Starbucks, quello di LinkedIn, il vicepresidente di Google. “Il cambiamento è qui. Il business deve guidare”, sottinteso l’agenda politica, è il claim di questa Leopolda della Silicon Valley dove sono invitati anche dei politici veri, c’è il sindaco di Los Angeles e l’ex governatore del New Jersey Chris Christie, quello che ha sfidato Donald Trump alle primarie repubblicane.
C’è l’impressione che i politici di professione siano invitati soprattutto per essere messi di fronte alla loro inadeguatezza. Il senso del convegno che dura tre giorni in fondo è: l’unica politica possibile verrà dalle aziende a trazione democratica, eccole qua. Intanto, coerentemente, qualche chilometro più in là, al quartier generale di Airbnb, officia Chris Lehane, il più politico dei manager di Silicon Valley. La leggenda vuole che il personaggio di Doug Stamper, il capostaff capace e perfido per eccellenza di House of Cards, sia ispirato a lui. Lui, un passato alla Casa Bianca e un presente come ambasciatore di Airbnb, si fa una risata, sembra invece buono, anche se gli rimane il soprannome di “master of disaster” nella gestione delle crisi clintoniane e una serie di detti attribuitigli, tra cui: “se l’avversario ha un coltello, tu tira fuori la pistola”.
Riceve nel palazzo del “dipartimento politico” del gruppo californiano degli affitti brevi (tutto un palazzo dedicato alle attività di comunicazione, è di per sé una dichiarazione d’intenti e spiega come mai rispetto ad altre aziendone siliconvalliche Airbnb abbia un volto così umano). Ha un assistente che sembra uscito da “Tutti gli uomini del Presidente”.
Chris Lehane è il più prestigioso pezzo di Partito democratico trapiantato sulla Costa Ovest degli Stati Uniti, nella più grande migrazione di cervelli politici verificata nella storia; Amazon ha assunto Jay Carney, ex ufficio stampa di Barack Obama, Apple Lisa Jackson, pezzo grosso dell’Agenzia per l’ambiente; Uber ha preso David Plouffe, super consigliere dell’ex presidente. Ma tra i Lothar del Partito democratico il più prestigioso è proprio Lehane, che dopo aver gestito l’affare Lewinsky e dopo aver fatto il portavoce di Al Gore nel 2000, e poi il consulente, ora si è piazzato a fare il Kissinger di Airbnb: business dei più globali (hanno aperto anche a Cuba, praticamente prima dell’ambasciata americana).
Fa un po’ effetto trovare Lehane tra le stanzette un po’ Ikea del quartier generale dell’azienda californiana – stanzette-uffici che hanno il nome e sono arredate come una vera casa messicana, o tedesca, o italiana, hanno i nomi di città (c’è anche la stanza- Matera). E’ una specie di Nazioni Unite delle camere d’affitto. Lui ha nonni siciliani e una passione per l’Italia, e dunque gli si vorrebbe chiedere subito cosa succederà secondo lui a queste nostre disgraziate elezioni.
“Allora, chi vince?” chiede invece fregandoci subito alla prima domanda. A saperlo. “Sembra che potrebbe finire con due coalizioni molto diverse” riflette. “Certo il problema sarà la governabilità”, commenta. Andiamo al sodo: i Cinquestelle sono un pericolo? Lehane non si sbilancia, dice che non li conosce così bene, è diplomatico proprio come un ambasciatore. “Però bisogna ricordarsi che il populismo è un’ondata, deriva dall’ineguaglianza, della crisi economica, è un fattore ciclico”, dice. Lui la vede più che altro in termini storici. “I millennial oggi non hanno niente in comune con le generazioni precedenti. Nel dopoguerra e fino agli anni Sessanta c’era comunque un consenso, una piattaforma ideologica tra generazioni. La differenza tra Eisenhower e Kennedy non era poi così grande. Oggi invece questa cosa è saltata, sia in America che in Europa”. Nessuno insomma ha una visione. “Non il partito democratico, dal quale pure provengo: non ha né un candidato né una visione complessiva da proporre. Ecco perché per esempio grandi numeri di afroamericani non sono andati a votare alle ultime elezioni in varie zone del Paese. Nessuno ha offerto loro un’offerta politica”.
E Trump, il nemico pubblico da queste parti? Anche lui è un risultato, un “byproduct” come lo chiama Lehane , della crisi economica. Però certo fino a poco fa Trump era il male assoluto, mentre le aziende di Silicon Valley invece il bene. Adesso qualcosa è cambiato. Il vituperato taglio alle tasse permette a Apple di riportare in America il suo tesoro di tasse non pagate con un rientro di capitali che neanche Tremonti ai tempi d’oro. Dall’altra parte, da Facebook a Twitter, ci sono dei compagni che sbagliano nella valle del silicio? “Ogni azienda qui certo ha il suo approccio” dice Lehane. “Noi per esempio non siamo contro nessuno, ma quando il presidente ha detto certe cose contro alcuni paesi abbiamo comprato gli spazi tv e abbiamo fatto uno spot”, dice. E infatti Airbnb è una delle compagnie in prima linea contro Trump. La piattaforma ideologica – apertura, rifiuto della paura dello straniero – coincide con la ragione sociale ed è l’opposto di quella dell’Amministrazione.
L’anno scorso l’azienda ha mandato in onda una pubblicità durante il Superbowl, pare preparata in quattro e quattr’otto dagli stessi fondatori. Una specie di messaggio della calza, quello della discesa in campo di Berlusconi. Quest’anno ha fatto un altro spot quando Trump ha fatto quei commenti eleganti su certi paesi non del primo mondo. Insomma, il partito-azienda è vivo e lotta insieme a noi. In fondo i superhost sparsi in tutto il globo potrebbero essere come gli addetti di Publitalia. Non osiamo proporgli la similitudine.
Però, “effettivamente avendo lavorato sia per Clinton che per questa società, devo dire che Airbnb si muove più come un candidato alla Casa Bianca che non come un’azienda qualunque. Hai una base, hai una community, e se ci pensi alcuni mercati internazionali sono da conquistare come dei swing state, gli stati in bilico”. Ci sta dicendo che un qualche fondatore di Airbnb si candida? “No no, per carità” dice lui mentre il terrore appare negli occhi dei due addetti stampa che ci sorvegliano. “Però effettivamente qui al policy department”, al dipartimento politico, “abbiamo messo su un approccio che sembra più da campagna elettorale, seppur su scala globale”. “Ci sono molte similitudini. Siamo veloci, seguiamo le notizie. C’è l’importanza dei social media e della reputazione, che è tutto. I consumatori del resto sono come elettori, ormai votano con le scelte di acquisto”.
Ma la Casa Bianca? “Credo che il prossimo candidato non sarà uno di quelli di cui si vocifera. In momenti storici come quello che viviamo, i presidenti vengono spesso non dall’establishment. Certamente dovrà essere uno con una visione e capace di comunicarla. E al momento non si vede nessuno in grado”.
E l’Italia? Un consiglio al prossimo governo, qualunque esso sia? “Beh, dovreste fare un grande piano del turismo. Il Giappone per esempio ha fatto un piano per raddoppiare il numero di turisti, ci sono delle somiglianze: un paese con molta storia, bellissimo paesaggio, un grande numero di proprietari di case, di cui molte vuote. Si sono dati un piano, passare da 20 a 40 milioni di turisti annui entro il 2020, e ci sono arrivati con tre anni di anticipo”. "L’Italia con tutti i suoi problemi rimane un paese di innovatori e imprenditori, e bisogna tirar fuori questo potenziale” dice Lehane. Non dice: “l’Italia è il paese che amo”, però è convincente: se fosse un candidato, domenica forse lo si voterebbe.