Ottimisti & razionali
Solo manipolazione o verità sulla rete? Vince chi lo scopre
Internet, politica e democrazia. Nuovo Pubblico Totale tra giornalismo in crisi e nuovi media ancora da comprendere
Se il potere della menzogna è così grande, allora forse la menzogna è la verità, a volte?
(Isaac Bashevis Singer, Keyla la Rossa)
“News” è una notizia, ma anche un genere narrativo. Le storie che per duecento anni ci hanno radicato nel mondo attraverso il racconto della realtà. La Notizia degli ultimi decenni declina sempre più verso un racconto dotato di senso e di intenzione. Spesso da prima che le cose avvengano. Non “smosciare” il titolo con la realtà, ci hanno detto a lungo in redazione, e noi siamo rimasti fedeli al titolo prefabbricato. Lo spazio che separa la notizia dalla predicazione prima, poi dalla propaganda, si è per questo ridotto in misura allarmante. Qui si innesta la crisi professionale dei giornalisti: rotta la barriera del tempo, ridotta la notizia a commodity, violata l’esclusività dell’interpretazione dei fatti, la giornata è rumore.
La pretesa del racconto esclusivo diventa improponibile, e la sua interpretazione non fa la differenza. Eppure l’idea che l’agenda di un Paese nasca in un paio di uffici centrali sopravvive. Credo che molti direttori sarebbero pronti a giurarcelo, ancora dopo il 4 marzo, dopo il crollo, continuando a confondere la “community” della politica col mondo là fuori. Di questo Pubblico Totale, che totalmente occupa la scena, si parla in toni sempre più angosciati. Non che non sia giustificata l’angoscia: disintermediato ma esposto ad ogni seduzione, partecipante ma manipolato. Votante ma fanatico. È lui, con i suoi registi, che detta l’agenda e parla senza soste. Marginalizzati i colti che leggevano i giornali; ammutoliti dagli anni i passivi couch potatoes. Resta in scena questa confusa e confondente folla degli “empowered”. Intanto, gli altri media provano a inseguire il Pubblico Totale. Cercano di integrarlo dentro i propri generi narrativi: inchieste scandalo con camorristi al comando, in una spirale di degrado professionale ormai quotidiana. Ma la belva è libera, almeno per giornali e televisioni cui essa non appartiene: le gesticolazioni disordinate dei media sono urla da una riva all’altra del fiume, nel tentativo di farsi ascoltare.
Il Pubblico Totale resta fuori dal mezzo, dai mezzi e dai loro linguaggi perché ogni “media” è in realtà anche un patto fra ragione e furore. Con gli anni anche la televisione è venuta perdendo il suo ruolo di padrona del discorso. Non lo ammetterà mai. La illudono di essere ancora al centro del ring i conduttori unici dello scazzo. Militanti a tassametro, in realtà, lontani dal giornalismo come Marte dalla Terra, presunti Agenda setter, a volte con successo, aspiranti king maker genuflessi. Ma anche l’agenda televisiva si conferma essere sotto l’egemonia del Nuovo Pubblico Totale. Se non ci sono sangue e merda, moralismo e forche, non funziona. Di recente alla presentazione romana dell’ultimo libro di Alessandro Barbano, Troppi Diritti, si sono incontrati in una jam session da tutto esaurito Romano Prodi e Giuliano Amato, Giuliano Ferrara e Paolo Mieli. In pratica quasi tutta la ruling class della seconda repubblica. A lungo è stato evocato lo spettro del lazzaro disintermediato, il quinto stato digitale. E dunque è questo il problema? Lo abbiamo disegnato bene? No, non ancora. Francamente non firmerei per questa analisi disperata che ci angoscia. Se tutto si esaurisce nelle accuse di “disintermediazione”, “ignoranza”, “incapacità di riconoscere il limite fra diritti e doveri”, “ribellione verso ogni concetto di specialismo e competenza”, allora la partita per un’agenda setting ecologico è bella e persa.
In realtà non c’è una ferita da curare. C’è un cambiamento d’epoca e di paradigmi che, come sempre accade, ha messo ai margini una élite, la sua egemonia e i suoi status semplicemente abbandonandoli. Entrano in scena spezzoni di saperi nuovi: l’algoritmo, la psicometria, e il passaparola telematico. Una volta venticello di calunnia limitato al popolino, oggi arma finale abilitata dalla disseminazione (dalla condivisione). Internet è riuscito a far emergere una competenza, moderatamente scientifica, della disinformazione e manipolazione di massa, un mix di discipline di marketing, di matematica delle reti, di psicologia di gruppo. Un nuovo specialismo da battaglia. Ci vorrebbero parole più precise, termini più tecnici: il guaio è che non ce ne sono ancora perché tutto è in formazione: tutto, più che teoria, è un insieme di pratiche, a volte di praticacce. Rileggiamo insieme Marco Canestrari, quando in Supernova ci racconta le giornate degli artigiani di Casaleggio intenti a verificare e correggere l’andamento delle shit storm del giorno.
Stacco, altra scena. Siamo a Cambridge Analytica, dove milioni di dati personali, trafugati da Alexandr Kogan, campione della scuola Pietroburghese di ingegneria sociale, dovranno servire a costruire campagne per Donald Trump o per la Brexit. I Brexiter, proprio loro, che si sono serviti anche dei dati delle assicurazioni, per capire le paure dei loro clienti. È la battaglia per chi chiude tutti gli altri nel frame che lo porta a prevalere, che si tratti di elezioni o di vaccini. E nell’iterazione quotidiana si è formata una cultura in divenire, brutta finché volete, ma quello è. La regola e produce una professione nuova, con una sua forza, forse con una dignità ancora inapprezzata. Certo da conoscere. La Scienza Nuova della comunicazione corre ad una velocità che fatichiamo anche solo a pensare. Molti studiosi leftist negazionisti insistono nel dire che con le Fake non si guadagnano voti o non si fanno plebisciti, che la scienza della manipolazione è il racconto dei perdenti. Dovessero riconoscere il contrario, sarebbero costretti ad ammettere di non sapere, come tutti gli altri, quali pesci prendere. Per esercizio, ogni due o tre giorni, bisognerebbe riascoltare le interviste di Alexander Nix sull’individuazione delle emozioni che non sai di avere, delle procedure per trasformarle in fantasmi personalizzati, magari associandoli ai mezzi tradizionali della propaganda sporca, i “kompromat”. La forza del subliminale, l’hanno chiamata. Quindi demografia, algoritmo, condivisione e disseminazione: che soddisfano i desideri degli umani di questi anni. Desiderio di esprimersi, di esserci, di contare, di esser visti. È la scienza della mobilitazione nervosa: cuori che pulsano, menti che si indignano, dita che condividono. Insieme soddisfacimento del desiderio, dinamica psicometrica e governo della folla.
La “tecnica” qui offre voce a chi era muto: in assoluto, non una brutta cosa rispetto a quando dovevi riconoscerti con gli altri attraverso le parole di un leader. Certo è terra incognita. Ancora più difficile da capire con le lenti della presbiopia culturale e del rifiuto. Per ora sappiamo che i nuovi timonieri possono aggregare una nuova destra, creare un plebiscitarismo indignato, suscitare paure e sognare un voto Facebook al posto del Parlamento, come succedeva a Mark Zuckerberg. Non sappiamo come usare queste discipline per la comunicazione democratica e razionale. Esiste una manipolazione democratica o bisogna lavorare per “le notizie vere”? Vince chi lo scopre. O si perderà a vita.
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