Un conflitto pubblico e privato
I diritti, la democrazia e l'impero dei social network
Propaganda, gestione dei dati, fake news e bad news: l’universo della comunicazione digitale ha bisogno di regole. Le responsabilità individuali e il ruolo della politica. Un dibattito tra direttori di giornali
Dallo scandalo Cambridge Analytica alla possibile influenza della Russia sulle ultime scelte elettorali: quanto contano i big data nell’informazione in politica”: è stato il tema del dibattito che si è svolto sabato 5 maggio a Dogliani, nell’ambito del Festival della tv e dei nuovi media. Hanno partecipato Mario Calabresi, direttore di Repubblica, Claudio Cerasa, direttore del Foglio, Luigi Contu, direttore dell’Ansa, Lucio Fontana, direttore del Corriere della Sera, Maurizio Molinari, direttore della Stampa. Sarah Varetto, direttore di Sky Tg24, ha moderato l’incontro. Ecco che cosa hanno detto.
Varetto: Pechino “condivide i dati con i suoi campioni, come Alibaba o Tencent, di cui si parla poco, ma che in realtà ha un ruolo fondamentale”
Molinari: “Due le questioni di fondo: la tutela della riservatezza e quindi dei diritti dei cittadini, e la sicurezza nazionale dei governi”
Varetto. Su questo vorrei coinvolgere Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera. Secondo te, qual è il peso e il potere reale che hanno avuto fino a questo momento questi fenomeni, queste interferenze? Abbiamo visto l’atto d’accusa del procuratore Mueller, la persona che sta indagando sulle possibili interferenze russe nelle elezioni americane che hanno portato alla vittoria di Donald Trump. Lui ha parlato di una “guerra di informazione”, ha usato questa locuzione. Ma su questo ci sono opinioni contrastanti. Recentemente ho letto sul New York Times che un autorevole studio tendeva a ridimensionare l’effettivo peso del fenomeno in alcune competizioni elettorali.
“Declinare nella realtà virtuale i diritti personali, significa andare verso la creazione di una nuova tipologia di diritti”
Fontana: “L’azione che viene fatta sui social media più che a chiedere un voto serve a creare un clima di rabbia, di esasperazione”
L’impatto di Facebook sul dibattito pubblico: il culmine nelle campagne d’odio orchestrate in oriente. La privacy: abbiamo smesso di considerarla un valore da difendere
In Italia, per esempio, durante l’ultima campagna elettorale non si è riusciti a dimostrare una reale influenza di troll o altro su un risultato elettorale o più in generale sulla manipolazione delle opinioni. Quello che si è visto però è che i medesimi account che erano intervenuti in Europa durante Brexit o durante il referendum di Barcellona traducevano parte di post radicalizzati, particolarmente duri sul tema dell’immigrazione.
Mario Calabresi. Io farei un passo indietro, per cercare di capire di che cosa stiamo parlando. Tutto parte da quanto oggi i social network – stiamo parlando in gran parte di Facebook, in parte molto minore di Twitter o dell’uso in alcuni paesi di WhatsApp – siano strumenti talmente pervasivi, in grado di arrivare ovunque, che in più occasioni si è ripetuto un dato costante, e cioè che vengono utilizzati, diciamo così, per distorcere il dibattito pubblico. Noi pensiamo soprattutto all’occidente, ma ci sono luoghi dove hanno avuto un impatto fortissimo.
Calabresi: “Obama è stato il primo a utilizzare i big data. Ma finché il messaggio era in positivo, nessuno si è scandalizzato”
Pubblicità di Google in India (foto LaPresse). Fontana: “Non ho tanta fiducia che in tempi rapidi si possa arrivare a una regolamentazione globale condivisa”
Varetto. Calabresi ha distinto l’uso dei dati personali nella campagna elettorale americana del 2008 rispetto quello che è avvenuto nel 2016 con Trump. Mi rivolgo a Luigi Contu, direttore dell’Ansa: non è che è cambiato anche profondamente il percepito, non è che su questi argomenti si era molto più ingenui sino a una decina di anni fa? In fondo tutta l’Amministrazione Obama lascia crescere i giganti del web: oggi ci sono cinque aziende in America che a Wall Street valgono più di 3.500 miliardi di dollari, e questa crescita esponenziale è avvenuta proprio negli ultimi dieci anni senza che ci sia stata una regolamentazione di alcun tipo. Oggi di fatto sono dei monopolisti, ed è quasi impossibile che nasca un concorrente in queste condizioni di mercato. E allora, non è che in fondo il tema e poi è sempre il medesimo: sono solo due facce della stessa medaglia, stiamo sempre parlando dell’utilizzo di dati personali che io consegno quasi inconsapevolmente?
Luigi Contu. Sono d’accordo con l’analisi che è stata fatta fino ad ora. L’utilizzo dei dati è un tema antico: io ho 55 anni, quando ero ragazzo facevo lo scrutatore per guadagnare un po’ di soldi e mi ricordo che nelle sezioni elettorali c’era il rappresentante di lista, quasi sempre quello del Pci che era molto ben organizzato, che veniva a vedere gli elenchi di chi aveva votato, perché così sapeva strada per strada se gli iscritti alla sua sezione erano andati a votare o no, e quelli che non avevano votato li andavano a cercare per sollecitarli a farlo. Erano liste pubbliche, che si potevano chiedere quando si andava a votare: era già un utilizzo del dato.
“L’accusa che viene mossa ai russi è che hanno interesse a tenere un’Europa in fibrillazione con effetti destabilizzanti”
Varetto. Claudio Cerasa, direttore del Foglio: ripartiamo proprio da qui. Bisogna creare un sistema di regole, sottolineava adesso Luigi Contu. In parte, l’abbiamo citato, l’Europa si è data un nuovo regolamento di tutela dei dati e della privacy. Si è detto anche quanto sono ormai diventati enormi questi tech giants, e quanto sia difficile poter andare veramente a incidere…
Contu: “Noi forse abbiamo qualche anticorpo in più, ma i ragazzi si formano solo attraverso il telefonino e Facebook”
Claudio Cerasa. Rispondo velocemente alla domanda ma vorrei introdurre anche un elemento di riflessione in più, perché non c’è dubbio che nei prossimi anni, forse già nei prossimi mesi, l’Antitrust europeo e forse anche qualche altro antitrust darà una lezione esemplare ai giganti della tecnologia. Per i giganti sarà una piccola multa che dovranno pagare, ma sarà simbolicamente importante. Però quando noi parliamo di privacy, di fake news, del modo in cui la tecnologia ha un impatto sulla società, sulla politica, sulla nostra vita, dimentichiamo sempre secondo me di considerare che parliamo a volte della cattiveria, della spregiudicatezza di Facebook ma non parliamo mai di noi.
Cerasa: “I movimenti antisistema si affermano anche perché riescono a sfruttare il sentimento di pessimismo che ormai fa breccia nella società”
Protesta contro Facebook a Londra (foto LaPresse). Calabresi: “In Birmania, nella persecuzione dei Rohingya, l’impatto di Facebook è stato fondamentale”
“C’è qualcosa che non torna se il 78 per cento degli italiani dice di stare bene e l’80 per cento dice di essere arrabbiatissimo”
Varetto. Si arriva così al tema della responsabilità di chi detiene queste piattaforme, perché queste echo chamber, queste camere dell’Eco dove mi arrivano solo notizie selezionate in base ai miei gusti, non fanno che avvalorare la mia tesi. Io non cambierò mai idea, non metto neanche in dubbio quello che è il mio pensiero, perché mi arrivano tutte informazione che vanno già in quella direzione.
“I social tendono sempre ad alimentare la bolla in cui viviamo, tendono sempre a suggerirci opinioni che già condividiamo”
Molinari. Noi viviamo la stagione iniziale della comunicazione digitale. Essendo la stagione iniziale, è una stagione destinata a essere corretta, arricchita o modificata. Facciamo un esempio concreto: l’intelligenza artificiale. Che cos’è l’intelligenza artificiale? La semplificazione estrema è che assomiglia o può assomigliare a quella che è stata la corrente nella rivoluzione industriale. L a rivoluzione industriale era fatta di macchine che avevano bisogno di essere messe in collegamento fra loro e di avere i loro utenti. Lo strumento fu la corrente: senza la corrente non vi sarebbe stata rivoluzione industriale, sarebbero state solamente macchine. Come si profila l’intelligenza artificiale? Come il metodo con cui interagiranno i robot fra di loro, e questo ha a che vedere anche naturalmente con quello che avviene sul web nello scambio dei dati. Allora se questo è il percorso – entrate in qualsiasi think tank di Tokyo e vi parleranno di questo argomento che stiamo discutendo adesso, cioè l’intelligenza artificiale come nuova corrente – chiaramente ci rendiamo conto che siamo ai prodromi, siamo alle prime pagine, non è neanche iniziata la rivoluzione digitale. L’interrogativo è: se i robot parleranno fra di loro e se quindi i vari gestori di piattaforme parleranno fra di loro attraverso sistemi che sfuggono al controllo, quale sarà il ruolo degli esseri umani? Dovremmo rivoltarci contro i robot? Dovremmo tentare di convivere con i robot? Dovremmo cercare di dare delle regole all’intelligenza artificiale?
Molinari: “Il punto è come declinare i nostri valori di fronte alle nuove sfide. In America i singoli stanno trovando delle soluzioni”
Calabresi. Volevo dire però una cosa. Io credo che le soluzioni singole, dal basso, possano portare a fioriture anche belle, però abbiamo visto Zuckerberg al Congresso degli Stati Uniti: sembrava uno scontro tra uno che aveva perfettamente sotto controllo i termini del suo prodotto e i politici americani, i legislatori che facevano domande che in certi momenti erano naïf, cioè non sapevano bene di che cosa si parlasse…
Varetto. Un senatore ha chiesto: ma se è gratis, come fate a fare tanti soldi? E lui ha detto: ci mettiamo un po’ di pubblicità.…
Calabresi. La cosa che fa impressione è come la sfida tra il legislatore e questi grandi gruppi mondiali, Facebook, Amazon, Google soprattutto, Apple, sia una sfida impari. Però io credo che, come dicevano sia Contu che Cerasa, noi dobbiamo preoccuparci e immaginare che ci siano anche legislazioni che non possono essere legislazioni nazionali: devono essere a livello europeo, a livello di G7, il Congresso degli Stati Uniti se le lobby della Silicon Valley gli permettono di fare qualche cosa, perché mentre noi adesso stiamo pensando di fare una discussione molto di avanguardia, in realtà stiamo facendo una discussione già vecchissima, di retroguardia. L’altro ieri è finita in California una conferenza di Facebook che si fa tutti gli anni. Il tema era l’intelligenza artificiale, come gli algoritmi possono raccogliere informazioni per le persone, ma di politica non se n’è neanche parlato… Vi faccio un esempio: le compagnie assicuratrici. Oggi una compagnia assicuratrice o una banca quando dà un mutuo si prende un sacco di rischi e cerca quindi di capire chi è la persona che si presenta allo sportello. Ormai l’intelligenza artificiale ha dei sistemi, degli algoritmi che si nutrono tutti i giorni di dati e imparano da soli e preparano dei profili che venderanno come banche dati alle assicurazioni sanitarie, alle assicurazioni della macchina, a chi fa i mutui, e questi in quattro secondi ti diranno se puoi avere un mutuo o no, che assicurazione potrai fare a seconda della tua percentuale di rischio, dei tuoi comportamenti. Immaginiamo che tu su Facebook metta sempre delle foto in cui vai a letto alle tre di mattina e vai a feste dove bevi e spendi un sacco di soldi… il tuo comportamento entrerà in automatico in un profilo che farà dire a un’assicurazione sanitaria: questo è meglio che non lo prenda perché è uno che ne combina troppe… Di fronte a questo tipo di cose, devono preoccuparsi la politica e le istituzioni di mettere delle regole, o no? Io penso che il Congresso degli Stati Uniti o la Commissione europea debbano mettere delle regole a protezione – la vogliamo mettere sul piano del mercato, non dell’antimercato? – a protezione del consumatore, a protezione di una sana dialettica, di un sano mondo in cui io consumatore non divento solo prodotto ma posso essere ancora protagonista.
Varetto. E infatti questo è secondo me il cuore del tema. E’ bellissima la suggestione di Molinari, e dopo mi faccio dare il nome di quel software perché mi sembra molto utile per chiunque abbia figli minorenni, però tornando al tema generale delle regole, perché è vero che le regole servono e devono essere per forza transnazionali, che tipo di meccanismo si deve innescare perché davvero ci sia un processo di questo genere?
Varetto: “Dimensioni delle aziende, quindi concorrenza, fisco, contenuti: non siamo ancora riusciti a mettere delle regole”
Dai genitori, dagli stati (anche oltre i singoli territori) le regole per l’universo digitale. Perché l’anarchia non è l’evoluzione naturale della democrazia
Poi adesso Calabresi citava i dati raccolti per le compagnie di assicurazione, ma attenzione, c’è già una raccolta dati sul merito di credito, perché in realtà molte di queste piattaforme i dati non li vanno poi a rivendere, stanno già facendo attività bancaria, con Apple pay per esempio e tanti altri servizi. Ma anche in questo caso è d’obbligo chiedersi: sottostanno alle regole dell’attività bancaria? No. Allora, che cosa deve accadere ancora perché si arrivi a elaborare perlomeno un manifesto di messa insieme di regole?
Fontana. Io vorrei dire che non ho tanta fiducia che in tempi rapidi si possa arrivare a una regolamentazione globale condivisa. Cerchiamo di capire intanto che cosa sta accadendo, perché nel primo giro abbiamo parlato di Obama e abbiamo parlato di Trump, e abbiamo detto: perché quando Obama usava il microtargeting per fare campagna elettorale ci sembrava moderno, innovativo e democratico, e quando lo fa Trump è brutto, sporco e cattivo? Ci sarà qualche motivo, magari legato al fatto che Obama ci piaceva un po’ di più, ma la realtà è che in questi pochi anni sono successe cose clamorose. C’è stato un cambiamento, della tecnologia e della capacità del software di intercettare elementi, decisamente straordinario. Prima abbiamo ragionato su gruppi di persone, su profili sociali, profili politici, poi sulle persone concrete, di cui non solo sappiamo tutto ma possiamo anche prevedere i comportamenti.
Fontana: “Con l’internet delle cose, chi avrà il potere di mettere insieme tutti i nostri dati personali dominerà le nostre vite”
E’ stato detto e scritto che Facebook con settanta nostri like sa più di quanto ne sanno di noi i nostri amici, con 150 più di quanto ne sanno nostro padre e nostra madre, con 300 più di quanto ne sa la nostra compagna o la nostra moglie. E se superiamo la soglia dei 300 like, ne sa più di noi stessi. Se sta finendo una storia d’amore, Facebook sicuramente lo sa prima di me. Questa è la situazione in cui ci troviamo, quindi questa accelerazione continua comporta intanto che le regole nel momento in cui le discutiamo già cominciano a essere superate. La questione verrà enormemente complicata dal fatto che non ci saranno solo Facebook, Google, Twitter, Instagram ecc. ma ci sarà un punto in cui con l’internet delle cose, avremo nelle scarpe i sensori che ci diranno che tipo di scarpe sono più adatte al terreno che stiamo calpestando, saremo circondati da un mondo che saprà in ogni istante tutto di noi e chi avrà il potere di mettere insieme tutti questi dati dominerà le nostre vite. Come ci si difende? Intanto io penso che in parte c’è una questione di recupero della responsabilità individuale, perché c’è qualcosa che forse c’è sfuggita come genitori, come giornalisti, come educatori, come professori. Abbiamo un po’ tutti seguito l’onda, ci piaceva perché stare su Facebook, stare connessi, stare in rete era tutto molto bello, interessante, moderno, fico, non capendone i rischi e abbandonando spesso i nostri figli a una deriva pericolosa. Immaginate un semplice gesto: nel momento in cui noi abbiamo una nuova app, possiamo avere due percorsi, o ci registriamo con un nuovo profilo, con una nuova password, oppure facciamo quella cosa che ci pare bellissima perché ci fa risparmiare tempo: accedi tramite Facebook. Se accedete tramite Facebook, avete consegnato a questa nuova piattaforma tutti i dati che Facebook conosce, e per fortuna adesso hanno cambiato la regolamentazione: prima anche i dati degli amici. Così è nata Cambridge Analytica. Quindi ci sono alcuni gesti consapevoli, di cui individualmente dobbiamo avere la responsabilità, che sarebbe molto utile recuperare. Il secondo punto è cominciare a fare una battaglia legale, politica e sociale nei confronti degli “over the top” che detengono i nostri dati. Intanto c’è la questione dell’anonimato: perché sulla rete io devo essere sottoposto al bombardamento di persone che sono false perché sono troll, o di cui non so nulla? L’obbligo di non essere anonimi sarebbe già un grande miglioramento. Una regolazione antitrust e una regolazione fiscale sono temi che possono affrontare fondamentalmente i grandi stati e le superpotenze. Mi pare però che il clima che si sta politicamente affermando – torniamo ai territori, torniamo alle chiusure – sia il clima peggiore in cui si possa fare qualcosa, perché ci sarà sempre un territorio che per questioni politiche ed economiche cercherà di dettare condizioni più vantaggiose. Quindi la battaglia contro la globalizzazione per l’isolazionismo secondo me è una prospettiva mortale per quello che riguarda la possibilità di fare qualcosa e di difendere le nostre vite da un’invasione che a un certo punto ci sembrerà insopportabile e metterà a rischio la stessa democrazia.
Varetto. Il rischio che sta correndo la democrazia occidentale: questo è un elemento cardine che è venuto fuori in più di un intervento oggi. Però l’abbiamo “spacchettato” in livelli diversi: abbiamo parlato del sistema delle regole, abbiamo parlato del comportamento individuale.
I rischi di accedere a un’app tramite Facebook. La questione dell’anonimato. La battaglia mortale contro la globalizzazione
Luigi Contu, vorrei riallacciarmi a un tema introdotto da Cerasa, e cioè il valore della privacy. Secondo te, per le nuove generazioni sarà ancora possibile ricreare questo senso della privacy, o peserà di più la quantità di servizi che l’altra mano offre gratuitamente? O ancora, è la nostra società che si è evoluta in questo modo, e non ci importa più della privacy, anzi condividere è diventato quasi più importante che vivere?
Contu. Io credo che ci sia ancora lo spazio e non mi arrenderei, perché è vero che nessuno di noi nutre molta fiducia nella politica, ma non è ammissibile che un qualsiasi esercizio commerciale subisca dieci controlli al mese e questi giganti non debbano mai averne. Quanto alla privacy, io sono un uno di quelli che in parte l’ha ceduta: sono molto contento di Apple Music per esempio, al contrario di Cerasa, perché mi propone tutti i pezzi che a me piacciono. Allo stesso tempo sono convinto che occorra un limite che noi dobbiamo insegnare, dobbiamo far capire a cominciare dai ragazzi, dalle scuole. L’abbiamo detto tante volte, però a me piace ripeterlo: ma come è possibile che in una famiglia se c’è un problema di una persona che sta male ci si interroga, si chiamano gli amici, si cerca di sapere qual è l’ospedale che garantisce di più, qual è il medico migliore, e invece se mi devo informare su quello che ha detto Salvini, chiunque me lo dice va bene. Qual è la logica? Perché noi pensiamo che dentro una scatoletta o “leggendo” Facebook, come dice mio figlio, possiamo informarci correttamente? Perché non cerchiamo di capire che è meglio leggere la Stampa, la Repubblica, il Foglio, il Corriere o andare sul sito dell’Ansa invece che raccogliere a caso quello che si trova in rete? Un po’ le cose ci sono scappate di mano, però nel corso della storia, come ci ha detto Sarah Varetto, alcune sono state recuperate. E’ il legislatore che deve agire a livello globale, ma noi non dobbiamo perdere la forza di spingerlo in questa direzione, parlarne, soprattutto con i giovani, perché veramente questo è un cortocircuito che ci può portare in zone pericolosissime. Lo dicevo all’inizio e non era un paradosso: secondo me i nostri valori, i valori della democrazia e della convivenza civile sono a rischio.
Varetto. Claudio Cerasa, mi colpisce una cosa che abbiamo detto un po’ tutti: invochiamo la necessità di regole globali, sulle quali, per quanto le auspichi, sono molto scettica, perché ricordo bene che all’indomani della grande crisi del 2008 si diceva: facciamo delle normative, blocchiamo la finanza cattiva, e non è cambiato assolutamente nulla. Però, provando a essere ottimisti, possiamo anche sgombrare il campo da un equivoco? Tutti noi nell’invocare regole premettiamo: però siamo per il mercato. Perché, mettere delle regole significa in qualche maniera intaccare il libero mercato? No. Attenzione: libero mercato, concorrenza, significa che tutti combattono ad armi pari, perché il piccolo negozio non soltanto subisce controlli, ma paga le tasse fino all’ultimo centesimo, mentre questi signori non pagano neppure le tasse, o meglio, le pagano come se un lavoratore medio versasse un euro all’anno: questa è più o meno l’entità del tributo fiscale che versano. Ecco, diciamo allora che in questo caso mettere regole significa onorare il libero mercato e la concorrenza.
Cerasa. Sì, è così, e per spiegarlo potremmo tracciare un filo rosso che parte dal mercato, arriva allo Stato, passa per la democrazia e arriva fino a quello che è uno dei veri drammi dell’occidente: le chat dei genitori su WhatsApp. Cerco di spiegarlo in maniera semplice: la ragione per cui oggi la dicotomia vera è tra gerarchia e anarchia è perché l’onda antisistema ha attaccato il principio della gerarchia e ha attaccato l’idea che ci sia un sistema legittimato a mettere delle regole.
“Il principio di responsabilità è il vero punto chiave, che riguarda ovviamente l’individuo ma anche la famiglia, la politica, i mercati”
Se per molti anni si è avuta una grossa difficoltà anche soltanto a pensare di ragionare sulle responsabilità di Facebook, sulle responsabilità della rete, è per la ragione che dicevamo prima: perché la rete è il luogo in cui matura una nuova, pura, saggia e genuina democrazia e ogni regola che riguarda tutto ciò che si manifesta sulla rete equivale a un bavaglio contro la nuova democrazia e quindi in nome di questo principio si è affermata l’idea che l’anarchia sia l’alternativa alla gerarchia. E che c’entrano le incredibili chat dei genitori su WhatsApp?
Varetto. Si mette in dubbio l’autorità degli insegnanti nella scuola.
Cerasa. Peggio ancora. Succede che ormai quotidianamente i genitori si riuniscono su queste chat su WhatsApp e processano gli insegnanti. In quel momento le chat illuminate, diciamo, discutono, le chat meno illuminate tendono a coltivare la cultura del sospetto verso l’insegnante, tendono a coltivare l’idea che uno vale uno, cioè che io genitore valgo come un insegnante… e chi è l’insegnante per decidere ciò che deve imparare mio figlio? Vale anche l’idea che in fondo gli esperti contino quanto i non esperti. Quindi quello è il vero incubatore di tutti quanti i tic che esistono oggi nella nostra società. Questo c’entra con il mercato, con lo Stato, ma anche con il rapporto che i genitori hanno con i figli, perché si è affermato un principio un po’ pazzotico, e cioè che il mercato va bene soltanto se non ha regole, quindi deve muoversi da solo, i cittadini sono liberi soltanto se possono fare tutto quello che vogliono, i figli devono essere messi nella condizione di fare tutto quello che vogliono, e quindi anche l’idea di poter mettere un controllo, come diceva prima Molinari, è qualcosa che fino a qualche tempo fa veniva considerata come una follia. Oggi invece è quello che nel mondo della politica può chiamarsi liberismo pragmatico, che è questa corrente di pensiero interessante che cerca di mediare tra chi considera lo Stato come un istituto che deve dare sempre delle regole, deve condizionare tutto, e chi considera il mercato come qualcosa di intoccabile, per arrivare a pensare al mercato come qualcosa che deve essere lasciato crescere, come un figlio, ma al quale, come a un figlio, deve essere data qualche regola. Questo è un po’ il filo conduttore, e se ci pensiamo è anche il filo conduttore della nostra democrazia. Oggi qui dovevamo parlare anche un po’ di Russia, un po’ di Putin: ecco, probabilmente la ragione vera per cui la Russia in questo momento riesce a fare leva sulle contraddizioni dell’occidente, è che purtroppo in alcuni posti in cui vi è una democrazia farlocca, una democrazia più simile a un dispotismo, le cose apparentemente funzionano meglio, cioè i processi decisionali sono più efficaci e si ha l’illusione che quei processi possano avere uno loro sensatezza, mentre la democrazia è in qualche modo vittima dei suoi successi. Prima parlavamo dell’ottimismo come alternativa al pessimismo, però c’è anche un altro ottimismo interessante da mettere a fuoco, ed è quello declinato dal premio Nobel dell’Economia Richard Thaler, che ha dato una definizione meravigliosa del cattivo pessimismo. Due righe che vi leggo: “Il cattivo pessimismo è quando le persone sovrastimano la propria immunità personale dal male e potrebbero in quel caso non riuscire a muoversi nella giusta direzione per continuare a prevenire quel male”. Questo lo vediamo ogni giorno, quando i ragazzi magari iniziano a pensare alle alternative alla democrazia perché non le hanno conosciute, non le hanno vissute. Questo vale anche sui vaccini: oggi siamo nelle condizioni di poter considerare la discussione sui vaccini come qualcosa di legittimo e di sensato perché i vaccini hanno avuto successo, e quindi non ci rendiamo conto di quello che significherebbe avere una società in cui alcuni vaccini non ci fossero più. Per concludere, il principio di responsabilità è il vero punto che riguarda ovviamente il singolo individuo, ma riguarda anche la politica, i mercati, i genitori. Tutti quanti dovrebbero avere il coraggio di dire, di fronte a un piccolo processo di anarchia: no, non va bene. So che dico una cosa controcorrente io genitore che metto le regole, io Stato che metto le regole, però l’anarchia non è l’evoluzione naturale della democrazia. Questo dovrebbe essere un principio da cui partire.