Perché in Spagna (e non solo) tutti vogliono studiare la matematica

Eugenio Cau

C’entrano l’intelligenza artificiale e un sacco di soldi

Roma. Qualche giorno fa il País raccontava che il corso di studi più desiderato dai ragazzi che si iscrivono quest’anno alle università spagnole non è Economia e commercio o Scienze del turismo, ma un corso arcigno di Matematica e fisica. La classifica del País, basata su dati usciti a inizio mese, tiene in considerazione il punteggio che ciascuno studente deve aver ottenuto al test d’ingresso universitario per accedere al corso: maggiore è la richiesta di un determinato corso, anche in relazione ai posti disponibili, e maggiore sarà il punteggio necessario per accedervi. Per il corso di Matematica e fisica della Complutense di Madrid il punteggio necessario è 13,667 su 14, praticamente la perfezione. Dei dieci corsi universitari più ambiti, otto riguardano matematica, fisica e scienze informatiche, e il País scrive che questo è un trend che è in crescita da qualche anno, complice il fatto che questi corsi hanno pochi posti disponibili, sì, ma anche il fatto che i giovani spagnoli sono sempre più interessati. Perché la matematica e la fisica? Perché i giovani spagnoli, aiutati probabilmente da un programma scolastico ben composto o da un’informazione più attenta, hanno capito che i lavori del futuro passano per di lì – specie quelli meglio pagati. Con buoni studi in matematica, statistica e logica, per esempio, si può balzare facilmente su un dottorato in intelligenza artificiale e machine learning, che può essere speso in due modi: uno, contribuire a creare le tecnologie che più tutte influenzeranno il futuro dell’umanità; due, finché la concorrenza è limitata, diventare straricchi.

 

Qualche tempo fa uscì con discreto risalto sul New York Times la notizia che OpenAI, un centro di ricerca non profit americano (occhio: non si tratta del laboratorio di una grande azienda privata, ma di una non profit, anche se finanziata da alcuni grandi nomi del campo della tecnologia come Elon Musk) nel 2016 aveva pagato 1,9 milioni di dollari per assicurarsi i servizi di Ilya Sutskever, ricercatore esperto di intelligenza artificiale. Sutskever è uno dei migliori nel suo campo, ma la cifra ha creato scompiglio perfino nell’America abituata a retribuire profumatamente i suoi talenti. Poco prima, un altro articolo del Times raccontava che un po’ dappertutto negli Stati Uniti gli esperti di AI ottengono facilmente stipendi vicini al mezzo milione di dollari l’anno, con le grandi aziende che fanno a gara per accaparrarseli. Gli esperti del settore sono così pochi che è facile ottenere contrattoni: secondo il centro studi dell’azienda cinese Tencent, gli esperti di AI sono circa 200 mila in tutto il mondo, più altri 100 mila che si stanno ancora formando, mentre la domanda del mercato richiederebbe “milioni” di figure professionali di questo tipo. Secondo Element AI, un laboratorio canadese, al mondo ci sono soltanto diecimila persone capaci di studiare l’intelligenza artificiale al livello più alto e risolvere i problemi più difficili.

 

E se il mercato dell’intelligenza artificiale dovesse squagliarsi, almeno per come lo conosciamo oggi? E’ una possibilità: il machine learning riguarda tecnologie piuttosto specifiche che potrebbero essere rese obsolete. Ma se questo campo specifico è incerto, è sicuro che il futuro sarà computazionale. Man mano che la società si tecnologizza, ci sarà bisogno di sempre più persone che questa tecnologia la sappiano governare e comprendere. E dunque è comprensibile che i giovani spagnoli siano stati svelti e vogliano studiare matematica e fisica, che il governo cinese metta a punto grandi piani di studio dell’informatica e abbia introdotto un libro di testo sull’intelligenza artificiale per le scuole superiori, che perfino Donald Trump, poco avvezzo ai libri, stanzi fondi per l’educazione scientifica. Speriamo soltanto che i novelli scienziati spagnoli, prima di imbarcarsi negli studi matematici, abbiano letto un po’ di Cervantes.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.