Così gli assistenti vocali ci tolgono l'imbarazzo della scelta. Sicuri sia un bene?
Sempre più persone utilizzano macchine come Alexa o Google Home. Dovrebbero consigliarci, aiutarci nelle decisioni, ma molto più semplicemente si limitano a scegliere per noi
Quando si tratta di compiere un acquisto, il comportamento del consumatore tende a seguire schemi “altamente prevedibili”. Caso mai ce ne fosse bisogno, a corroborare l’evidenza empirica è intervenuta una ricerca pubblicata su Nature nel 2013 da parte di un team del Massachusetts Institute of Technology. Si tratta di un fenomeno ben noto nel campo del marketing che prende il nome di brand loyalty (letteralmente “fedeltà al marchio”), vale a dire quella particolare inclinazione a ripetere gli acquisti di prodotti dello stesso marchio. È un’esperienza relativamente comune quella di trovarsi nel mezzo della corsia di un ipermercato e prendere dallo scaffale un articolo già acquistato in passato, per via del fatto che ci ha soddisfatti o semplicemente per un sentimento di fiducia nei confronti dell’azienda che lo ha realizzato. Per certi versi è un fenomeno affine a quella che gli psicologi chiamano invece decision fatigue, la fatica di scegliere, che invece spinge le persone a replicare determinati comportamenti per evitare lo sforzo della decisione. Tanto per capirci, questo tipo di pattern è lo stesso che induce Mark Zuckerberg a vestire sempre il medesimo outfit.
Quelle che a prima vista possono sembrare sottigliezze, rappresentano invece dinamiche fondamentali per l’industria delle vendite e possono significare il successo o il declino tanto di un singolo prodotto quanto di un’intera azienda. Negli ultimi anni il processo decisionale degli acquisti ha subito una vera e propria rivoluzione copernicana, causata dall’utilizzo degli algoritmi all’interno dei siti di e-commerce. La macchina ci “aiuta” a scegliere, proponendoci nello scaffale virtuale gli oggetti o i servizi che verosimilmente si adattano meglio ai nostri gusti. E in certi casi è talmente ben tarata – basti pensare a Netflix – che arriva a elaborare le possibili preferenze meglio ancora di quanto non farebbe l’utente stesso, magari perché sotto l’effetto di un attacco di decision fatigue.
Nel prossimo futuro una delle tecnologie che promettono di condizionare maggiormente il settore del commercio online è quella dei dispositivi basati sul riconoscimento vocale. Secondo alcune statistiche, un americano adulto su cinque utilizzerà nell’anno in corso uno di questi strumenti, e da qui al 2020 metà delle ricerche avverranno per mezzo di comandi impartiti con la nostra voce. Il giro d’affari stimato nell’arco dei prossimi quattro anni si aggira intorno ai 40 miliardi di dollari.
Tuttavia, l’uso di questa tecnologia è destinato a influenzare ancora una volta e in maniera decisiva il modo in cui compiamo le nostre scelte. Quando chiederemo ad Alexa o a Google Home di consigliarci (tanto per fare un esempio) un particolare tipo di pasta, è verosimile che non ci sottoporrà un lunghissimo elenco di articoli. Molto più semplicemente, si limiterà a scegliere per noi. E una volta che avremo comprato un determinato prodotto è molto probabile che lo stesso ci verrà riproposto in futuro. Come spiega un recente articolo apparso su Quartz, questo nuovo fenomeno è stato battezzato dagli esperti incidental loyalty, ovvero “fedeltà casuale”. A guidare l’acquisto non sarà più l’affezione che nutriamo per questo o quell’oggetto, ma la necessità da parte della macchina di semplificare drasticamente il meccanismo decisionale. Ma una minore capacità di scelta si traduce anche nell’eventualità che il mercato si contragga. Se l’ausilio degli strumenti a comando vocale subirà l’incremento previsto, solo i prodotti che riusciranno a emergere come “prime scelte” avranno la forza di rimanere a galla, con il rischio che nel complesso si perda in termini di qualità.
Quella della fedeltà casuale è l’ennesima, enorme sfida lanciata al mondo delle vendite e del marketing. Secondo Jeff Malmad, direttore generale di Mindshare, “la fedeltà casuale potrà arrivare a coinvolgere il 30% delle vendite totali”. Per sopravvivere le aziende saranno costrette dunque a fare i conti non solo con la complessa psicologia del cliente, ma anche con le impenetrabili black box che ospitano gli algoritmi.