Facebook non può risolvere il guaio delle fake news, è che l'han disegnato così
Le bufale sui migranti e una conferenza a New York
Roma. La crisi delle fake news, che aveva colpito Facebook e gli altri social l’anno scorso, non è mai finita per davvero. Se n’è cominciato a parlare meno, presi com’eravamo dallo scandalo Cambridge Analytica, dai pasticci di Google con Gmail e dai follower falsi di Twitter (quanti ne avete persi in questi giorni?). In realtà il problema è rimasto, e in Italia in questi giorni l’abbiamo visto, con centinaia di meme fasulli che cercavano di fabbricare un’inesistente emergenza migranti a uso dell’impressionabilità socialara. Lo ha dimostrato, per esempio, una ricerca della non profit turca Teyit riferita a diversi paesi dell’occidente, compresa l’Italia, pubblicata all’inizio del mese. Molti di questi meme hanno circolato liberamente su Facebook per settimane, in alcuni casi per mesi. Il social network sa bene che è soltanto questione di tempo prima che la bolla delle fake news gli scoppi di nuovo in faccia, probabilmente in concomitanza di grandi eventi politici come le elezioni di mid-term americane, e sta impiegando molte forze per cercare di dimostrare che il problema è quasi risolto. Ma ogni tentativo di Facebook è frenato da una contraddizione di fondo. Si prenda per esempio l’incontro sulle fake news che Facebook ha tenuto questa settimana a New York con i rappresentanti di alcune delle testate americane più prestigiose. L’incontro è stato ben raccontato da Charlie Warzel di BuzzFeed: prevedeva cocktail di gamberi, un video girato da un regista premio Oscar, un dialogo tra i giornalisti e John Hegeman, capo della sezione news di Facebook, che spiegava quante premure il social network usa per eliminare propaganda e bufale. A un certo punto un giornalista della Cnn ha chiesto a Hegerman: ma se siete tanto attivi, perché non chiudete la pagina di Infowars?
Infowars è il sito di Alex Jones, famoso complottista che da vent’anni propala bufale, teorie cospirazioniste e propaganda. In confronto a Infowars, il Blog delle stelle sembra il New York Times. La risposta del manager di Facebook è rivelatrice: noi “cancelliamo invocazioni alla violenza e all’odio, ma il semplice fatto che una notizia sia falsa non viola i nostri Community Standard”. Traduzione: noi cancelliamo i post razzisti, sessisti, omofobi, violenti, ma se uno scrive una cosa falsa non viola il nostro regolamento. La risposta di Hegerman ha scandalizzato i presenti, tanto che BuzzFeed ha intitolato il suo articolo “Facebook dimostra di non essere pronto a gestire le fake news”, e successivamente l’azienda ha fatto sapere che Infowars potrebbe comunque subire delle penalizzazioni dall’algoritmo.
L’indignazione dei media liberal americani, tuttavia, è un po’ troppo affrettata. Infowars è un sito terribile, in occasione del 4 luglio, festa nazionale americana, annunciava che il Partito democratico era pronto a dare inizio a una nuova guerra civile, e i post di Alex Jones sono un veleno per la democrazia e la convivenza – conosciamo il problema anche noi, in Italia esistono centinaia di siti e pagine Facebook simili. Ma ancor più nefasto, lo sappiamo, sarebbe un sistema in cui Facebook si erge a censore della verità: il social fatica a definire il concetto di “news”, figuriamoci cosa succederebbe se cercasse di definire quello di “verità”.
E’ per questa contraddizione di fondo – Facebook contribuisce a diffondere contenuti che sono pericolosi per la democrazia, ma non può censurarli perché sarebbe un danno ancora più grave per la democrazia – che tutte le volte che il social network ha tentato di gestire il fenomeno ha fallito miseramente: ha cercato di maneggiare l’algoritmo per favorire le interazioni personali e l’unico esito è stato quello di far crollare le visite ai siti di news, poi ha cercato di coinvolgere plotoni di fact checker senza risultati apprezzabili, nel frattempo assumeva migliaia e migliaia di controllori/censori, anche in quel caso con scarsi successi. Quando si dice che “Facebook non è pronto a gestire le fake news” si dice il vero. Il problema è presupporre che si possa davvero esserlo. Quando si parla di verità e ragione, non c’è manipolazione algoritmica che tenga, purtroppo.