Facebook e Google vogliono entrare in Cina, ma troverebbero l'ennesimo muro
Tutti gli ostacoli alle mire espansionistiche della Silicon valley
Roma. La Silicon Valley vuole tornare in Cina. Due settimane fa, Facebook ha aperto una filiale in Cina, anche se soltanto per poche ore. La filiale è apparsa nei registri governativi delle aziende registrate nella provincia dello Zhejiang, Cina orientale, per poi sparire quando i media se ne sono accorti, probabilmente dopo l’intervento di Pechino. La settimana scorsa, invece, le riviste The Intercept e The Information hanno rivelato che Google starebbe lavorando rispettivamente a una app per la ricerca online e una app per le notizie destinate al mercato cinese – ergo, censurate e controllate dal regime del Partito comunista. The Information ha scritto che Google lavora a una app per le news dedicata alla Cina dall’anno scorso, e che è già entrato in contatto con il governo per facilitare la sua approvazione. Facebook è censurato in Cina da quasi un decennio. Al contrario, Google si è ritirato spontaneamente nel 2010, dopo una serie di hackeraggi e per evitare di doversi sottomettere al regime censorio. Secondo Quartz, a spingere per il ritiro di Google dal mercato cinese fu Sergey Brin, uno dei fondatori, figlio di due ebrei russi rifugiatisi negli Stati Uniti per sfuggire all’antisemitismo nell’Unione sovietica. Ora che Brin si è ritirato dalle decisioni operative, tuttavia, il ceo Sundar Pichai ha fatto più di un’apertura al regime comunista cinese. Ha annunciato l’inaugurazione di un centro di ricerca per l’intelligenza artificiale e investito milioni di dollari in aziende cinesi. Lo stesso vale per Facebook, che ha già studiato diversi metodi di censura per poter entrare nel mercato della Cina.
Altre aziende della Silicon Valley, come Apple, usano un doppio standard etico quando si tratta di Cina, inchinandosi alle richieste censorie del regime di Pechino e al tempo stesso mostrandosi come paladini della libertà nell’occidente democratico. Ma se il successo di Apple in Cina è un caso particolare (vende hardware, non servizi online), per gli altri c’è un problema: se anche il governo cinese consentisse loro di entrare nel mercato locale, Google e Facebook farebbero flop.
Due ragioni. La prima è che un decennio senza concorrenza ha consentito alla Cina di sviluppare dei fortissimi campioni nazionali su internet. Gli utenti cinesi usano Baidu, i prodotti di Tencent, Alibaba, e le ricerche di mercato mostrano che hanno poco appetito per nuove app americane. Robin Li, fondatore di Baidu, il principale motore di ricerca cinese, ha detto di non avere alcuna preoccupazione per l’eventuale ritorno di Google. Come raccontava un bel reportage di Li Yuan pubblicato ieri sul New York Times, inoltre, i giovani cinesi cresciuti senza Google e Facebook si sono ormai abituati a un regime di stretta censura, e non desiderano uscirne: il Times cita uno studio dell’Università di Stanford in cui ad alcuni studenti cinesi sono stati dati device capaci di superare le barriere della censura, ma più della metà dei soggetti della ricerca non li ha usati, preferendo i servizi approvati dal Partito comunista.
E’ probabile, insomma, che la Cina avrebbe ottimi mezzi per bloccare le mire espansionistiche della Silicon Valley, che negli ultimi mesi hanno conosciuto numerosi ostacoli anche in occidente. Ci sono limiti, muri oltre i quali perfino i giganti di internet non sono in grado di andare. La Cina lo è per Google e Facebook. Uber, invece, si è dovuto ritirare quasi da tutta Asia. L’Unione europea, con multe e regolamenti, sta diventando un problema sempre più pressante per i giganti di internet. Ieri il Wall Street Journal ha descritto un altro piano di espansione di Facebook, che starebbe cercando accordi con le grandi banche americane per la condivisione dei dati dei correntisti. Le banche, tuttavia, sembrano freddine all’idea – Unicredit ha tagliato i suoi legami con Facebook perché il social network “non agisce eticamente”, ha detto l’ad Jean Pierre Mustier. Sempre ieri Gary Cohn, ex presidente di Goldman Sachs ed ex capo consigliere di Donald Trump, ha detto che le banche americane prima della crisi del 2008 erano “cittadini più responsabili” di quanto non lo siano le aziende di internet oggi, come a dire: il momento del taglio delle ali potrebbe arrivare anche per voi.