Perché sulla legge sul copyright Di Maio ha preso un'altra bufala
Il ministro grida alla censura orwelliana e alla fine della libertà su internet, ma non sa cosa dice davvero la normativa europea
Roma. Il ministro del Lavoro Luigi Di Maio si è messo su Facebook, l’altroieri, per commentare l’approvazione della direttiva europea sul copyright da parte del Parlamento di Strasburgo. Forse malconsigliato, forse poco aggiornato, forse un po’ troppo sensibile alla propaganda antieuropea, Di Maio è incappato in una bufala imbarazzante.
L’approvazione della legge che vuole proteggere il diritto d’autore è “una vergogna tutta Europea”, ha scritto il ministro. “Stiamo entrando ufficialmente in uno scenario da Grande Fratello di Orwell”. Per quale ragione, esattamente? Di Maio si è convinto che, nel caso in cui la direttiva fosse approvata in via definitiva, sarà introdotta “la censura dei contenuti degli utenti su Internet”. “D’ora in poi, secondo l’Europa, i tuoi contenuti sui social potrebbero essere pubblici solo se superano il vaglio dei super censori”.
Di Maio riprende con il suo post alcune preoccupazioni che erano emerse la scorsa primavera, quando si cominciò a discutere della direttiva. La norma europea, infatti, chiedeva alle piattaforme di internet come Google e Facebook di implementare dei filtri che fossero capaci di identificare quando veniva caricato un contenuto protetto da copyright. Le definizioni vaghe di come dovessero funzionare i filtri e di cosa fosse considerato contenuto protetto da copyright avevano fatto temere alcuni luminari di internet, tra cui Tim Berners-Lee, che l’applicazione della norma europea avrebbe potuto essere troppo estesa, e generare pericoli di censura digitale. Questi pericoli erano molto tenui fin dall’inizio, e soprattutto la creazione di un internet in stile cinese non è mai stato l’intento dei legislatori europei. Tuttavia, quelle preoccupazioni furono sufficienti a far bocciare la norma alla prima votazione di luglio.
Da allora la legge è stata resa più precisa e più vicina alle intenzioni dei legislatori. Se questa primavera qualcuno poteva ancora temere pericoli di censura e gridare al proverbiale bavaglio di tante campagne stampa italiane, oggi questo pericolo è completamente inesistente. La norma europea non rende i filtri obbligatori, ma li considera semplicemente come una possibilità che gli stati membri potrebbero adottare. Specifica inoltre molto chiaramente che sono soggetti alla legge soltanto i contenuti caricati per sfruttamento commerciale, non quelli condivisi per uso privato. Inoltre, lascia invariate tutte le eccezioni al diritto d’autore che già esistono: se un professore universitario vuole citare un brano sotto copyright, o se un utente Facebook vuole condividere uno spezzone di un talk show caricato dall’emittente, può farlo oggi e potrà continuare a farlo dopo l’applicazione definitiva della normativa.
Nessuna censura, dunque. Questo è ben chiaro a chiunque abbia seguito l’iter della legge. Evidentemente, non possiamo annoverare il ministro del Lavoro tra questi.
Bisognerebbe inoltre ricordare a Di Maio che un filtro per i contenuti protetti da copyright è già attivo da anni su una delle piattaforme più famose del mondo: YouTube. Si chiama Content ID, e fa esattamente quello che il ministro su Facebook definisce come “scenario da Grande Fratello di Orwell”: vaglia i contenuti al momento del loro caricamento per controllare se sono piratati. A dar retta a Di Maio, YouTube dovrebbe essere un luogo di censura e omologazione. Eppure, a quanto ci risulta, la piattaforma video è piena di filmati proprio di Di Maio e dei suoi alleati politici.
Un’ultima nota: il ministro scrive che il voto dell’Europarlamento è stato influenzato dalle “lobby” – senza specificare dove siano e quali siano queste entità fantomatiche, in perfetto stile pentastellato. Vorremmo ricordare a Di Maio che hanno lottato contro questa legge aziende come Facebook (600 miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato) e Google (800 miliardi). Davvero, ministro, il passaggio della norma è stato la vittoria dei poteri forti?