Gmail ha cominciato a suggerire come comporre le nostre mail. È una funzione attivata per tutti da pochi giorni, che ha iniziato a insinuarsi nelle caselle di posta (Foto Pixabay)

Google ci insegna a scrivere, Facebook ad amare. Ecco il paternalismo tech

Eugenio Cau

Vecchi e nuovi strumenti dei falsi libertari

Roma. Se avete scritto un’email negli ultimi giorni forse lo avrete notato: Gmail, il servizio di posta elettronica di Google, ha cominciato a dirvi come scrivere. È una funzione attivata per tutti da pochi giorni, che ha iniziato a insinuarsi nelle caselle di posta questa primavera, e per ora funziona solo in inglese. In pratica, se state scrivendo una mail a un amico e cominciate una frase con “Ho…”, come per dire: “Ho portato a spasso il cane”, Gmail decide che è meglio completare la frase in modo diverso, e vi consiglia: “How are you?”. Questo strumento di completamento intelligente (si chiama “smart compose”) funziona soltanto per gli utenti che hanno impostato la lingua inglese, e quindi in Italia se ne sono accorti in pochi, ma nei paesi anglofoni non si fa che parlarne: alcuni la considerano una gran comodità, e un ottimo modo per evitare brutte figure.

 

Google consiglia frasi sempre positive e ben educate, seguendo le sue indicazioni è impossibile lasciarsi andare a uno scatto d’ira e scrivere risposte piccate di cui ci si pente immediatamente dopo aver schiacciato il tasto invio. Altri temono che sia l’inizio di una mutazione del linguaggio: a forza di farci dire come scrivere, arriveremo a parlare in googlese, con frasi standard e sempre cortesi – almeno eviteremo gli strafalcioni grammaticali.

 

Scrivere non è la prima cosa che un’azienda tecnologica della Silicon Valley vuole insegnarci a fare. Facebook, in un certo senso, vuole insegnarci a gestire le relazioni umane. Ci ricorda i compleanni, ci manda rimbrotti delicati quando ci dimentichiamo di parlare con un amico per molto tempo, ci consiglia di interessarci a cosa fanno gli altri. Dal punto di vista tecnico, questi consigli si chiamano “nudge”, spintarelle comportamentali, e sono stati pensati da team di psicologi esperti per mantenere gli utenti incollati a Facebook. Sono parte di una strategia precisa, ma sono anche il sintomo di un contesto ideologico più ampio.

 

La grande industria tech americana è da sempre considerata sinonimo di libertà e indipendenza, la storia fondativa della Silicon Valley è pervasa di miti hippie, di grandi sperimentatori di droghe psichedeliche, di libertari radicali. In realtà, l’ideologia prevalente nel mondo tecnologico è il paternalismo – paternalismo del peggior tipo, quello condito dell’arroganza di chi sa cosa è meglio per te, e ti costringe ad adattarti.

 

Pensate per esempio all’“antennagate” di Apple. E’ una vecchia storia, risale al 2010, Steve Jobs era ancora vivo. Era appena stato presentato l’iPhone 4, un apparecchio straordinario, e alcuni utenti si accorsero che c’era un problema: l’antenna prendeva male la linea telefonica. Il problema era così diffuso che per Apple fu un piccolo scandalo (fu successivamente risolto), ma quando alcuni utenti preoccupati si rivolsero a Jobs, lui disse: è colpa vostra, tenete in mano il telefono nella maniera sbagliata e coprite l’antenna con i palmi. Insomma: se Apple aveva disegnato un telefono con le antenne esattamente dove di solito si poggiano le mani, il problema non era del telefono: Steve Jobs ci avrebbe insegnato a tenere in mano il telefono come si deve, lui sa come si deve fare e cosa è meglio per gli utenti.

 

Allo stesso modo, capita spesso che Google ritiri un prodotto magari poco popolare, ma molto amato dagli utenti. Successe anni fa con Google Reader, succederà a breve con Inbox, una versione di Gmail alternativa (che non ti dice cosa scrivere). È comprensibile che alcuni prodotti siano ritirati, mantenerli è molto costoso. Ma la giustificazione di Google è inevitabilmente paternalista: ritiriamo Inbox perché sappiamo cosa vogliono gli utenti meglio di loro stessi, e abbiamo deciso che loro non vogliono più usare Inbox.

 

Non cominciamo nemmeno a parlare del trattamento dei dati personali: ci sono voluti l’Unione europea e le sue regole draconiane per costringere Google, Facebook e gli altri a trattare gli utenti come persone adulte, capaci di decidere da sole quali dati rendere accessibili e quali no. Il mondo della tecnologia è tutto così: ci prendono per bambini, e spesso noi li lasciamo fare.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.