Una legge per le start up, ostinata e contraria al reddito di cittadinanza
Una proposta concreta per aiutare i giovani a fare impresa e innovare, invece che aspettare l'assegno per non lavorare
Provate a parlare a un politico di start up e vedrete che dopo pochi minuti inizierà a guardare il telefono cercando qualunque cosa possa rimetterlo in connessione con le cose "che importano davvero". Sì, perché il problema delle start up è proprio in quell'atteggiamento un po' choosy che ha portato, negli anni, a una mancanza totale di regia politica. Non è mai esistito in Italia un piano strategico di azione per far nascere e far diventare "grandi" le start up. Sono viste ancora da troppi, e quando va bene, come piccoli esperimenti da garage di qualche studentello di ingegneria o di economia. Niente a che fare con il lavoro, quello "vero". Non si tratta solo di soldi, non è solo per gli scarsi finanziamenti che siamo agli ultimi posti in Europa per la nascita e lo sviluppo di imprese innovative. E' che proprio manca del tutto lo Stato.
Il sistema Italia ha messo poco la testa su un mondo che è chiaramente il futuro del lavoro, soprattutto del lavoro dei più giovani. Saranno proprio quei ragazzetti che vanno in prima pagina perché s'inventano un nuovo brevetto, magari con del materiale riciclato, a darci lavoro, in un tempo molto più breve di quello che immaginiamo. Sempre che non li lasciamo invecchiare sul divano con babbo stato che gli dà la paghetta via reddito di cittadinanza. Perché quello è davvero il peggior destino che possa attendere questo paese: piuttosto che l'assegno per non lavorare servirebbe un reddito di sviluppo, un sostegno per mettersi alla prova, crescere, e anche cadere e rialzarsi per diventare grandi. Ho scritto una proposta di legge sulle start up, l'ho scritta da imprenditore che vuole lavorare nel suo paese dopo aver preso un biglietto che temevo di sola andata per l'estero, quando nel 2015 mi sono trasferito a Singapore. E ho pensato che non c'è altra soluzione che quella di far entrare nella testa della politica una cosa: le imprese innovative rappresentano “LA” chiave di sviluppo italiana.
Perché abbiamo talento, estro, preparazione, tradizione artigianale e inventiva. Manca solo una cosa: le spalle larghe dello stato, che non deve dare ai giovani i soldi per starsene a casa tranquilli, ma che gli stessi dovrebbe usare per metterli nelle condizioni di lavorare, rendersi indipendenti e superare la delicata fase della crescita. Esattamente come si fa per un figlio: chi mai lo vorrebbe vedere nel salotto di casa o in fila in un centro per l'impiego che non arriva mai? Perché invece non creiamo un sistema virtuoso e un nuovo ambiente di lavoro dove i ragazzi riescano a muovere i primi passi con quella che si chiama fiducia?
Ecco, con questa proposta di legge, che corre in direzione ostinata e contraria al reddito di cittadinanza, noi vogliamo dare ai più giovani la possibilità di essere i protagonisti della loro storia, senza dover pensare di fuggire da un paese capace solo di addossargli un debito pubblico grosso come il mondo. Non li vogliamo come Atlante, semmai come sagittari che scoccano frecce potenti.
La mia legge parte dunque dagli essenziali prevedendo una serie di incentivi e sgravi per finanziare queste imprese. A cominciare dagli investimenti privati verso start up e pmi innovative, che potranno essere dedotti fino al 70 per cento del capitale investito, o attraverso la creazione di uno o più fondi che investano in co-matching al 100 per cento insieme ai fondi di venture capital italiani. Per proseguire con l’obbligo per i fondi pensione, fondi assicurativi e casse previdenziali di investire lo 0,5 per cento della raccolta in fondi che investano in start up, pmi innovative e fondi, prevedendo per loro una deduzione fiscale del 30 per cento di quanto investito.
Infine, ma non certo per ultimo, un grande investimento va fatto nei confronti del capitale umano, con una decontribuzione strutturale per nuovi dipendenti under 45 di start up, pmi innovative, fondi, società di investimento e con l’obbligo alle aziende di concedere un periodo di aspettativa ai propri dipendenti nel caso in cui volessero fondare una start up o per lavorare in una di esse. Una forte spinta al rientro di capitale umano la darà un pacchetto di misure “anti diaspora” che prevedono l’esenzione fiscale totale per chi torna in Italia per fondare o lavorare alla propria start-up, i finanziamenti a fondo perduto da 100mila euro per chi porti la propria start-up in Italia (sul modello di successo di start-up Chile) e la creazione di voucher per incentivare l’assunzione di manager qualificati.
Per concludere: incentivi fiscali e fondi destinati alle Università che più investano in acceleratori per trasformare le idee innovative nate nei propri laboratori in brevetti. Ma non ci fermiamo qui: sappiamo che ad oggi il rischio più forte è di ritrovarsi, dopo l'avviamento, in una mortale fase di stallo. Il momento più delicato è quello della crescita ed è qui che bisogna innestare e fare sistema, è proprio qui che serve più che mai la regia dello stato. Così come avvenuto in Francia, un paese che fino a qualche anno fa era ai nostri livelli e che ora ci ha superato grazie alla realizzazione di un sistema in grado di supportare la vita delle start-up in ogni fase. In Italia, sono convinto, servirebbe un ministero ad hoc, o quantomeno una delega con portafoglio, perché occorre davvero fare lo sforzo di creare un clima di fiducia, sostegno e buone pratiche diffuse che permangano e vadano oltre questo o quel governo.
Ecco perché sto lavorando ed auspico che la mia proposta di legge abbia un iter bipartisan: i 5 stelle hanno sempre manifestato un certo interesse per l'innovazione, al momento hanno preso decisioni che non vanno incontro alle future generazioni, vediamo cosa vorranno fare per le nuove frontiere del lavoro. Perché al momento, e basta dare un’occhiata ai dati della raccolta di euro, noi siamo ancora molto lontani dalla capacità di attrazione di investimenti di Germania, Francia, Spagna o Regno Unito, decine di volte superiore alla nostra. E si sa, il business nasce dove trova terreno più fertile. Per questo dobbiamo diventare un paese di destinazione per coloro che corrono, non di fuga dove restano solo quelli che combattono da fermi.