Facebook ha trovato un capro espiatorio per i suoi disastri, ma il trucco si vede
Mentre l'azienda prometteva di combattere le fake news in realtà contribuiva a diffonderle. La crisi morale della Silicon Valley, che ha sempre preteso di avere una missione più nobile del semplice far cassa
Roma. Non c’è momento migliore della sera subito prima del giorno del Ringraziamento negli Stati Uniti per pubblicare un’ammissione di colpa. E’ quello che ha fatto Facebook mercoledì sera tardi, quando ha pubblicato un comunicato di Elliot Schrage, il capo (uscente) della comunicazione e della policy dell’azienda, braccio destro di Sheryl Sandberg. Nel comunicato, Facebook conferma punto per punto l’inchiesta durissima del New York Times che accusava il social network di avere usato strategie di comunicazione scorrette e perfino fake news per “intorbidire le acque” e per attaccare surrettiziamente la concorrenza. Sì, abbiamo assoldato Definers, la compagnia di pr che ha diffuso notizie tendenziose sul finanziere e filantropo ebreo George Soros e sulle aziende concorrenti su siti di estrema destra, ha scritto Schrage; sì, abbiamo chiesto esplicitamente a Definers di lavorare su Soros; sì, abbiamo chiesto a Definers di mandare ai giornalisti materiale per danneggiare la concorrenza. L’unica accusa che Schrage ha negato è stata quella di aver contribuito a diffondere fake news – anche se l’inchiesta del New York Times sembra suggerire il contrario.
Soprattutto Schrage, che ha già un piede fuori da Facebook e sarà sostituito dall’ex vicepremier britannico Nick Clegg, ha ammesso che la colpa è sua: la responsabilità di aver assunto Definers e diretto l’attività di pr su pratiche malsane – per usare un eufemismo – sarebbe tutta sua. Segue il comunicato di Schrage un “commento” di Sheryl Sandberg, che dice che forse sì, lei aveva qualche responsabilità di supervisione, e forse qualche documento su Definers potrà anche essere passato sulla sua scrivania, ma che in fondo lei non sapeva delle pratiche scorrette dell’azienda che guida assieme a Mark Zuckerberg. Chiude il commento una condanna dell’antisemitismo – quello che si scatena tutte le volte che si accusa Soros di essere a capo di un grande complotto, come Definers ha fatto per conto di Facebook. Delle due l’una: o Schrage è stato scelto come capro espiatorio, oppure Sandberg e Zuckerberg hanno un grave problema di leadership, e non sapevano che mentre la loro azienda prometteva di combattere le fake news in realtà contribuiva a diffonderle. Grave in entrambi i casi.
Tanto più perché ieri un’ulteriore inchiesta del New York Times ha chiarito ancora di più il ruolo di Definers non soltanto in relazione a Facebook. Definers è una delle tante agenzie di “opposition research” di Washington, ma è stata una delle poche a decidere di portare i propri talenti sulla costa ovest, in un momento in cui la Silicon Valley era nel pieno di una crisi di reputazione. Sono state molte le aziende tech che hanno assoldato Definers per lanciare campagne di comunicazione senza scrupoli. Quando il produttore di chip Qualcomm si è trovato in dissidio con Apple, per esempio, ha chiesto a Definers di produrre una finta campagna per sostenere una fantomatica candidatura di Tim Cook alla presidenza degli Stati Uniti nel 2020. L’obiettivo era minare il buon rapporto che Cook aveva stabilito con Donald Trump.
Tattiche simili sono piuttosto comuni nel mondo della politica di Washington, e certo lo sono anche in certi ambienti di business. Non sono illegali, non hanno mai destato troppo scandalo. Ma la Silicon Valley ha sempre sostenuto davanti al mondo di non essere un business qualunque. Ha sempre preteso di trovarsi su un piano morale più elevato, di avere una missione più nobile del semplice far cassa (per Facebook è “connettere il mondo”) e per questo ha sempre preteso trattamenti preferenziali da parte della politica e dei regolatori. La delusione, il techlash, è scoprire che le grandi aziende tech sono come tutte le altre, e scoprirlo dopo aver dato loro fiducia, vantaggi e una montagna di dati.