“Gli audiolibri non ti restano in testa”. Storia di una polemica di cellulosa
Pensavamo che sarebbero stati gli ebook a mandare in pensione la carta, ma ci sbagliavamo. Il successo di un nuovo formato di libro e le vecchie paure
Roma. Pensavamo che sarebbero stati gli ebook. Che una delle tecnologie di maggior successo degli ultimi secoli, il libro, sarebbe infine stata mandata in pensione dai libri elettronici, che hanno l’efficienza di potersi portare Guerra e pace in un apparecchietto da taschino. Ma dopo un successo iniziale, gli ebook hanno deluso. Non sono abbastanza avanzati, o forse è il libro, temprato da secoli di evoluzione, a essere ancora troppo funzionale per andare in pensione e per subire lo stesso destino delle cabine del telefono. Ma mentre la polemica attorno agli ebook infuriava, in silenzio si faceva strada un terzo formato di libro, che nessuno immaginava avrebbe avuto successo: il libro audio, la parola che, anziché essere scritta, è narrata. Negli Stati Uniti la popolarità degli audiolibri è raddoppiata negli ultimi cinque anni; soltanto nel 2018, le entrate sono aumentate del 22,7 per cento. In Italia i numeri sono meno precisi, ma sono in aumento: da un paio d’anni opera nel paese Audible, la compagnia di Amazon leader nel settore, e quest’anno si è aggiunta la svedese Storytel. Questa crescita avviene mentre il mercato dei libri cartacei è tendenzialmente piatto, e indica dunque che un certo numero di lettori, piccolo ma interessante, si sta spostando.
Con gli audiolibri che pian piano diventano un fenomeno culturale, alcune delle polemiche che avevano colpito gli ebook arrivano anche al libro narrato. La più celebre di tutte è: ma l’audiolibro non ti resta in testa. Significa: se leggi Guerra e pace in tutta la sua magnificenza di cellulosa, ogni curva della prosa tolstojana ti rimarrà impressa in mente, e crescerai come lettore e come essere umano. Se invece Guerra e pace lo ascolti in registrazione, narrato da un attore nel corso di 49 lunghissime ore (tanto dura l’audiolibro), sarà inevitabile lasciar cadere la concentrazione, perdere il filo di un dialogo, ritrovarsi alla fine con una memoria sbiadita del gran capolavoro.
Daniel T. Willingham, che è uno psicologo dell’Università della Virginia e che studia esattamente queste cose, ha scritto due giorni fa un op-ed sul New York Times per smentire la maldicenza contro gli audiolibri. Willingham parte dalla domanda: “Ascoltare un libro anziché leggerlo è barare?”, e dice che no, che ci sono stati i dovuti esperimenti e che nella memoria delle persone Guerra e pace rimane altrettanto impresso sia quando è letto sia quando è ascoltato. Ci sono delle ragioni di evoluzione: la scrittura è un’invenzione molto recente, ha appena 6.000 anni, e dunque gli esseri umani non hanno fatto in tempo a sviluppare meccanismi mentali specifici per la lettura. Utilizziamo, riadattandoli, gli stessi meccanismi che ci consentono di comprendere il linguaggio orale. Per questo a leggere o ad ascoltare il meccanismo rimane più o meno lo stesso. Caso diverso è quello dello studio: con un libro di carta si può rileggere, sottolineare, ripetere, ma questa è superiorità tecnologica. Quando si parla di apprezzare Guerra e pace, lo si può fare tranquillamente con delle buone cuffiette – o perfino con un ebook, se siete avventurosi.