Cosa c'entra un consigliere di Di Maio nella direttiva europea sul copyright
Marco Bellezza difese Facebook, ora fa il consigliere giuridico al Mise
Roma. Lo scorso settembre il Parlamento europeo approvò in sessione plenaria la direttiva sul diritto d’autore, una norma che ha creato numerose controversie e che si proponeva di proteggere i produttori di contenuti (case discografiche, operatori del settore cinematografico e televisivo, editori) dalla violazione diffusa della proprietà intellettuale nell’ambito del digitale. Nei mesi precedenti all’approvazione, la norma aveva creato enorme dibattito, con le piattaforme digitali americane (Google, Facebook e gli altri) in prima fila contro una direttiva che, dicevano, avrebbe messo in pericolo la libertà su internet e le loro fonti di entrate.
Gli articoli più dibattuti erano il numero 11, che cercava di ribilanciare la divisione della torta dei profitti per i contenuti online a favore degli editori, e soprattutto l’articolo 13, che rendeva i gestori dei servizi di condivisione dei contenuti responsabili, a certe condizioni, delle violazioni del diritto d’autore commesse sulle loro piattaforme, a meno che non fossero stati firmati contratti di licenza. Per molti mesi la battaglia fu durissima, con Google e Facebook a sostenere che l’Unione europea voleva instaurare strumenti di controllo preventivo e censura online, e i produttori di contenuti a ribattere che le piattaforme guadagnano miliardi sulle violazioni. Quando infine il Parlamento approvò la norma, i giornali titolarono in prima pagina che era la vittoria dei detentori del diritto d’autore, e molti considerarono chiusa la questione. Tutto il contrario.
L’iter della direttiva non era affatto concluso, e da settembre a oggi si è combattuta tra Strasburgo e Bruxelles una battaglia di lobby feroce, che alla fine ha reso la norma irriconoscibile. I protagonisti di questa battaglia sono state le piattaforme digitali americane, e chiunque abbia guardato un video di YouTube (proprietà di Google) negli ultimi mesi se n’è accorto, ché la piattaforma ha continuato a esporre messaggi invasivi che accusavano l’articolo 13 di distruggere la libertà di internet, mentre molti youtuber famosi incitavano i loro spettatori a protestare perché “se passa la direttiva il mio canale dovrà chiudere”.
Il lavoro delle piattaforme ha depotenziato a tal punto la norma che la maggior parte dei gruppi d’interesse del mondo dei media e dell’industria creativa ha detto che l’articolo 13 così com’è stato ripensato non può funzionare, e all’inizio del mese un gruppo di stakeholder del settore audiovisivo che comprende l’Anica italiana, la Liga spagnola e la Premier League inglese ha perfino chiesto come misura estrema l’eliminazione dell’articolo 13: nella sua versione attuale, rimaneggiata e maltrattata, fa più danni che altro. Questa possibilità è stata accarezzata perfino da alcuni proponenti della direttiva.
In questa battaglia durissima, uno degli avversari più decisi della direttiva è stato il governo italiano. Il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, fin da prima dell’approvazione aveva promesso di “contrastare” la norma, e in seguito l’ha definita come una legalizzazione della “censura dei contenuti”, promettendo che sarebbe stata sconfitta. Diverse fonti sia del Movimento cinque stelle sia del Mise confermano che del dossier si è occupato per conto del governo l’avvocato Marco Bellezza, nominato proprio a settembre consigliere giuridico del ministro Di Maio.
Qui c’è un particolare interessante, finora mai notato: prima di cominciare la sua collaborazione con Di Maio, l’avvocato Bellezza ha lavorato come difensore di Facebook in almeno due cause, tra cui quella intentata dalla madre di Tiziana Cantone, la ragazza che si suicidò nel 2016 dopo un linciaggio social. Nessuna di esse era legata alla direttiva, ma è notevole che chi si occupa della questione a nome dell’Italia abbia difeso in tempi recenti una delle piattaforme che è parte interessata. Contattato per telefono, Bellezza ha rimandato alle posizioni ufficiali del ministro e non ha voluto commentare oltre. Giovedì sera si è tenuta l’ultima riunione annuale del Trivio, il consesso in cui Parlamento, Commissione e Consiglio europei si sono riuniti per cercare di trovare una quadra sulla direttiva. Inutilmente: se ne riparla a gennaio.