Facebook passa da uno scandalo all'altro, quando ci stancheremo per davvero?
Le ultime rivelazioni del New York Times sono solo una goccia
Roma. Non passa settimana che per Facebook non ci sia un nuovo scandalo. Il conteggio attuale è a due, forse tre – e siamo soltanto a giovedì. Questa volta – inchiestona del New York Times con documenti riservati interni all’azienda e decine di interviste a dipendenti ed ex dipendenti – pare che Facebook abbia condiviso dati molto personali degli utenti con 150 aziende considerate “partner privilegiati”. Per esempio, Facebook condivideva con Amazon, Apple e Microsoft vari tipi di informazioni di profilo degli utenti e dei loro amici, anche quando le opzioni di condivisione erano disattivate. Ad altre compagnie come Netflix e Spotify, Facebook consentiva perfino di leggere, scrivere e cancellare i nostri messaggi privati (!). Come nota il New York Times, molte di queste concessioni straordinarie avvenivano proprio mentre Facebook spergiurava in tutti i consessi di aver chiuso il flusso di dati degli utenti verso terze parti. L’azienda, nella sua risposta ufficiale, ha detto che tutto è regolare, che gli utenti davano la loro autorizzazione per la condivisione, e che nessuna regola è stata violata, anche se nessuno ricorda di aver acconsentito a farsi leggere e scrivere i messaggi privati da Netflix (nota: stiamo parlando di una facoltà che non sappiamo se e quanto sia stata usata dalle aziende).
Ma, come dicevamo, gli scandali questa settimana sono due, perché il report del Senato americano sulle interferenze russe presentato pochi giorni fa accusa i grandi fornitori di servizi social (Facebook e Google in primis) di aver trattenuto informazioni e di essere stati poco chiari durante le interrogazioni parlamentari sul caso russo. E c’è un terzo scandalo, potenziale, che nasce da un’inchiesta di Gizmodo pubblicata due giorni fa, secondo cui Facebook usa tutti i modi possibili per spiare dove si trovano i suoi utenti anche quando questi negano esplicitamente il consenso, aggregando dati provenienti dalle connessioni wifi, dagli indirizzi Ip e così via. Niente male per una settimana soltanto, no?
Ma basta tornare indietro di una settimana ancora e c’è lo scandalo dei documenti diffusi dal Parlamento britannico, che provano come Facebook usasse i dati degli utenti come strumento negoziale e per abbattere la concorrenza. Un paio di settimane prima c’è stato lo scandalo di Definers, l’azienda di pr che ordiva a nome di Facebook compagne d’attacco pseudo antisemite contro George Soros. Qualche giorno prima c’era stato il problema con Portal, l’assistente domestico che dapprima Facebook ha venduto come assolutamente privato, per poi ricredersi: anche Portal monetizzerà i dati degli utenti. Si potrebbe continuare a ritroso per decine di scandali simili, passando per il gran disastro di Cambridge Analytica, e continuare a scavare ancora nel passato, settimana dopo settimana, scandalo dopo scandalo. Spossante, vero?
La stanchezza è una componente fondamentale di questo stillicidio di scandali che riguardano il social network di Mark Zuckerberg. Ancora pochi mesi fa, le rivelazioni del Nyt sarebbero state accolte con sgomento (“Facebook faceva leggere in giro le nostre chat private!”), ma ormai è soltanto un pezzetto in più nell’enorme mucchio che si va impilando. Ora la domanda è: fino a quando potrà reggere questa condizione? Anni di scandali sembrano aver mostrato che Zuck è impermeabile a qualsiasi idea di riforma strutturale, anche perché significherebbe la fine del business di Facebook. Alcuni retroscena sui media americani dicono che dentro al social network la situazione è tesissima: dopo più di due anni sotto assedio, i dipendenti non ce la fanno più. Ma la stanchezza vera – e difficile da misurare – è quella degli utenti e soprattutto dei legislatori. Facebook teme questi ultimi: arriverà la regolamentazione che molti auspicano? Intanto ieri Walt Mossberg, gran decano dei reporter tecnologici americani, ha annunciato che abbandonerà Facebook. “Non mi trovo più bene qui”, ha scritto.