Il compleanno populista di Facebook
Per i 15 anni di Facebook, Mark Zuckerberg scrive un comunicato in cui critica i media e sembra Casaleggio
Milano. Techmeme è il più famoso aggregatore del mondo di notizie sulla tecnologia. Tutti i giorni il suo autore (che sta lentamente diventando uno degli uomini più influenti nella scena del giornalismo tech americano) mette insieme gli articoli più interessanti su un determinato tema, e i tweet dei giornalisti più noti a corredo. Techmeme è anche una delle poche cose a contenuto vagamente giornalistico lette tutti i giorni da Mark Zuckerberg, il fondatore e ceo di Facebook – lo ha ammesso lui stesso, in un’intervista al New Yorker, che non legge i giornali ma soltanto qualche aggregatore noto. Ieri, aprendo Techmeme, Zuck non sarà stato particolarmente lieto di leggere quali articoli e tweet erano stati messi insieme per commentare il suo lungo messaggio pubblico per i 15 anni di Facebook. Quattordici articoli di giornale, appartenenti alle testate più prestigiose, dal New York Times a The Verge: tutti negativi, al limite dell’insulto. Una ventina di tweet di giornalisti e influencer: tutti sbeffeggianti, tranne qualcuno che esprimeva una più equanime preoccupazione per il futuro del social network.
Cosa ha scritto Zuckerberg di così terribile per meritarsi tanto astio? In occasione dei 15 anni di Facebook ha scritto un lungo post un po’ accrocchiato (alcuni vi hanno visto pezzetti dell’op-ed che aveva pubblicato sul Wall Street Journal due settimane fa; altri pezzetti delle deposizioni rilasciate al Congresso l’anno scorso) occupato per oltre metà da un lungo cappello auto agiografico in cui si racconta di come il giovane Zuckerberg abbia costruito un “semplice sito web” per “trovare le persone” (si trattava in realtà di un sito per paragonare tra loro le ragazze del campus di Harvard) e di come questo sito sia diventato un fenomeno mondiale che ha dato libertà, connessioni e opportunità a miliardi di persone.
Tuttavia nell’ultimo paio d’anni, scrive Zuck, si sono sollevate molte discussioni “riguardo alle questioni sociali ed etiche” sollevate dalla popolarità di Facebook. Zuckerberg cita in maniera molto generica alcune di queste questioni, ma sappiamo che si tratta di temi enormi, come la salute della democrazia, il futuro della libera stampa, la permanenza di un concetto qualsiasi di privacy. Facebook ha già fatto tantissimo per risolvere questi problemi, e continuerà a farlo, scrive il fondatore.
Zuckerberg dice che Facebook sta cambiando il mondo, e lo spiega: “I network di persone rimpiazzano le gerarchie tradizionali e rimodellano molte istituzioni della nostra società, dal governo al business ai media alle comunità e altro ancora”. Come a dire: abbiamo rovesciato i vecchi schemi di potere. Noi italiani, che abbiamo un po’ di esperienza, potremmo quasi dire che Facebook è il social network del cambiamento. Poi continua: nonostante i nostri sforzi, c’è “la tendenza di alcune persone a deplorare questo cambiamento, a enfatizzare troppo gli aspetti negativi”, fino a sostenere che Facebook sia pericoloso per la democrazia. Insomma, se non fosse per qualche guastafeste specie nei media (fake news?) la nostra rivoluzione sarebbe perfetta.
Ma cosa ribatte Zuckerberg a questi criticoni? “Benché qualsiasi cambiamento sociale rapido crei incertezze, ciò a cui assistiamo è che le persone hanno più potere, e sul lungo periodo stanno cambiando la società per essere più aperta e accountable”, che è quel verbo molto americano che significa: rispondere delle proprie responsabilità. Insomma: il social network del cambiamento sta finalmente ponendo il potere nelle mani dei cittadini onesti.
C’è un solo problema: Mark Zuckerberg è una delle persone meno accountable del mondo. Per come è strutturata la sua società ne è il padrone assoluto, il tiranno, e non deve rendere conto a nessuno del suo operato. Un imprenditore privato che vuole creare una piattaforma per dare trasparenza alle istituzioni contro i poteri costituiti. Dove l’abbiamo già sentita questa?