L'oblio in rete, un diritto europeo
Garantire la privacy digitale, ovvero il diritto a non essere condannati alla memoria eterna quando l’informazione che ci riguarda non è più socialmente rilevante. L’Unione fa anche questo
E’ una giornata di settembre ancora afosa a Milano. Luca, giovane avvocato in uno studio legale associato di diritto fallimentare, non ha chiuso occhio la notte precedente. Quello è un giorno importante: il primo appuntamento con un cliente di peso. Si tratta di una grossa società che naviga in cattive acque e rischia il fallimento. Nella sala riunioni che traspira di mutuo sanguinoso, l’incontro con l’amministratore delegato e il suo assistente sembra andare molto bene. Tutto fila per il verso giusto fino a quando quest’ultimo, mentre si è ormai vicini all’accordo anche economico, decide di cercare sul suo smartphone qualche informazione aggiuntiva su Luca. Una volta ricevuti i risultati dal motore di ricerca, mostra qualcosa all’amministratore delegato, che cambia totalmente espressione. Prende il cellulare dal collega e fa vedere a Luca quanto visualizzato sullo schermo. Il primo risultato di una ricerca basata su nome e cognome è relativo a una procedura, vecchia di 14 anni, di vendita all’asta di alcuni immobili di Luca, dovuti ad un dissesto finanziario dell’allora trentenne avvocato. La riunione si interrompe bruscamente e i due rappresentanti della società lasciano lo studio, dicendo di volere riflettere ancora un po’ prima di confermare il mandato. Ma ciò che più profondamente ferisce Luca è il commento finale dell’amministratore delegato prima di entrare in ascensore: “Certo non è il migliore biglietto da visita per uno studio che si occupa di diritto fallimentare il fatto che il primo risultato del motore di ricerca ricordi il fatto che uno dei fondatori abbia rischiato la bancarotta”.
Luca aveva fatto di tutto per dimenticare e superare quel periodo difficile della sua vita, quando aveva chiesto un fido alla banca per avviare la sua società e aveva poi scoperto che l’ex socio lo aveva tradito di fatto mettendolo sul lastrico. Purtroppo, quella notizia ai tempi aveva fatto scalpore, visto che l’ex socio era un personaggio abbastanza noto, ed era finita sulle pagine della versione elettronica di un quotidiano assai letto. Eppure Luca aveva reagito a quel momento di crisi. Con l’aiuto della sua famiglia lucana, aveva pagato tutti i suoi debiti e chiuso quel capitolo, dedicandosi anima e corpo agli studi per il concorso in magistratura. Non era riuscito a superare quel concorso, è vero ma ora aveva finalmente il suo studio e non accettava che la sua nuova attività professionale potesse essere messa a rischio da una storia ormai chiusa, che però Internet, con la sua memoria permanente, sembrava non voler dimenticare.
Ciascuno di noi, quotidianamente, può trovarsi in situazioni analoghe a quella di Luca, in cui notizie non più rilevanti, o peggio ancora, articoli diffamatori e notizie false vivono una vita eterna grazie alle prime pagine dei risultati dei motori di ricerca. La fortuna di Luca è che ha deciso di restare in Europa. Se fosse andato a lavorare negli Stati Uniti, e ne era stato tentato in un momento della sua vita dopo la chiusura della società, non avrebbe mai potuto vantare “un diritto a essere dimenticato” per notizie ormai irrilevanti riprese dai link dei motori di ricerca. Ma a Milano, come a Berlino e a Riga, per chi ha questo tipo di problema vi è una soluzione in più rispetto a chi ha deciso di lasciare l’Unione. Le istituzioni europee prendono molto sul serio la privacy ed il diritto alla protezione dei dati personali di chi vive in Europa. Così sul serio che tali diritti sono tutelati a livello costituzionale dalla Carta dei diritti fondamentali, il Bill of Rights dell’Unione, mentre la Costituzione degli Stati Uniti non fa alcun riferimento esplicito alla privacy.
Luca sa bene tutto ciò, è un avvocato e, all’università, aveva superato gli esami di diritto costituzionale e diritto dell’Unione europea a pieni voti. Quindi, sa anche che, proprio alla luce della dimensione costituzionale che caratterizza la privacy nel vecchio continente, le istituzioni europee hanno predisposto uno strumento che fa proprio al caso di Luca e di tutti quello che si trovano nella sua situazione. Si tratta di del regolamento europeo sulla protezione dati personali, per gli amici GDPR, efficace dal maggio del 2018 e che, anticipato in questo senso da una importantissima sentenza del giudice europeo di Lussemburgo, l’altrettanto famoso caso Google Spain, ha codificato l’ormai celeberrimo diritto all’oblio. Tale regolamento infatti prevede ora espressamente che chi ritiene che, tra le altre ipotesi, una informazione in circolo sul web che lo riguardi non sia più rilevante o abbia un effetto negativo sulla sua reputazione, possa chiedere al motore di ricerca la rimozione del link della pagina web che contiene tale informazione. E’ proprio utilizzando tale strumento che, dopo la seconda notte insonne, Luca decide di scrivere al motore di ricerca, richiedendo espressamente la rimozione del link a quella pagina web. Decide, in altre parole, di esercitare concretamente un diritto che spetta a tutti noi europei: quello “di essere dimenticati”, a certe condizioni, anche dalla memoria elefantiaca di Internet. Un diritto di cui gode chiunque abbia fatto dell’Europa la propria casa.
Attenzione però, sarebbe un errore pensare che il motore di ricerca sia l’ultimo decisore circa la permanenza o meno in rete di una pagina web. Cosi come è effettivamente capitato a Luca, che si è scontrato con un rifiuto di rimuovere il link, nel caso in cui il motore di ricerca decidesse di non operare la rimozione, ritenendo ancora rilevante quella notizia, ci si può rivolgere al Garante nazionale per la protezione dati. Il cosiddetto garante alla privacy, che esiste in tutti gli stati membri dell’Unione. Come si diceva, è stato proprio quello che Luca ha deciso di fare. E il Garante italiano, che ha i suoi uffici a Roma, dopo aver bilanciato il diritto ad essere dimenticato di Luca con il diritto ad essere informato da parte di tutti gli utenti della rete, e essere arrivato alla conclusione che quella informazione non era più rilevante, ha ordinato al motore di ricerca di rimuovere il link. E non importa che, come nel nostro caso, il motore abbia la sua server farm, la sua base informatica negli Stati Uniti. Il diritto fondamentale alla privacy è preso così sul serio in Europa che è protetto nei confronti di qualsiasi società che, a prescindere da dove sia stabilita, è interessata al mercato digitale europeo e fornisca beni e servizi a utenti che si trovano nell’Unione. Non solo dunque una protezione nei confronti del cittadino europeo, ma di chiunque si trovi in uno degli stati membri dell’Unione. Perché il diritto alla privacy è un diritto che spetta all’individuo in quanto tale e che non conosce discriminazioni sulla base della nazionalità. Dunque, può sembrare strano, ma nonostante la dimensione globale di internet, non è indifferente se ci si connette al web in Europa o, per esempio, negli Stati uniti.
Il mercato unico europeo di beni e servizi oggi è anche un mercato unico digitale, in cui alla dimensione economica si affianca quella di tutela dei diritti fondamentali e, in questo caso, l’enforcement della privacy digitale quale valore che caratterizza il costituzionalismo europeo, che si fonda sui concetti di dignità e uguaglianza. Lo stesso non avviene negli Stati Uniti dove la parola chiave è liberty, e la dimensione rilevante dei diritti fondamentali in gioco è spesso solo quella individuale Proprio per questo, per esempio riguardo all’hate speech, alla tutela dei minori, ma anche con riferimento alle cosiddette fake news, ciò che è possibile pubblicare su una piattaforma di condivisione negli Stati Uniti, non lo è in Europa. Nel Vecchio continente esiste infatti il concetto, estraneo al costituzionalismo statunitense, di abuso del diritto, fosse anche il diritto di esprimere il proprio pensiero, che non è illimitato.
E poco importa se i principali social network e, in generale, i giganti del web hanno la loro sede proprio negli Usa. Se vogliono godere dei vantaggi del mercato europeo devono assumersi anche l’onore di prendere sul serio i diritti fondamentali, e in primo luogo la dignità dei destinatari dei loro servizi. E se tali destinatari si trovano in uno degli stati membri, le piattaforme digitali sono obbligate a rispettare i valori costituzionali propri dell’Unione europea, a cominciare dalla privacy e dal diritto a non essere condannati alla memoria eterna quando l’informazione che ci riguarda non è più socialmente rilevante.