Delitto d'autore sul copyright
Il Parlamento europeo approva la giusta legge sul diritto d’autore e dà una lezione ai sostenitori dell’anarchia digitale. I populisti votano contro. Ecco perché regolare le piattaforme su internet non è una questione di diritto: è una questione di democrazia
E’ accettabile che il nostro continente digitale sia un continente dove il valore non è di chi lo ha creato ma di colui che lo trasporta fino al consumatore finale? Il Parlamento europeo ieri ha votato a favore della riforma del copyright approvando una legge molto discussa che interviene principalmente su due questioni importanti. Primo: offrire ai titolari dei diritti d’autore maggiori strumenti per negoziare accordi migliori sulla remunerazione derivata dall’utilizzo delle loro opere presenti sulle piattaforme internet. Secondo: rendere le piattaforme internet direttamente responsabili dei contenuti caricati sui propri siti. Una volta che la legge verrà recepita dai parlamenti nazionali, le piattaforme che lavorano su internet dovranno impegnarsi a rimuovere tutti i contenuti illeciti, dovranno prevenirne la futura pubblicazione con un meccanismo di filtro, dovranno prevedere un equo compenso per i produttori dei contenuti e dovranno esercitare un controllo su ciò che viene caricato in modo da escludere la pubblicazione di contenuti protetti dal diritto d’autore e sul quale gli utenti non detengono diritti.
Ragionare sull’importanza della normativa sul copyright solo dal punto di vista tecnico rischierebbe di essere però un errore molto grave, che avrebbe l’effetto di mettere in secondo piano un lato non meno importante della battaglia sul diritto d’autore, che riguarda il dovere di una classe dirigente con la testa sulle spalle di scegliere da che parte stare tra due mondi possibili, quando si parla di internet: la difesa del principio di responsabilità o la difesa del principio di irresponsabilità.
Difendere il diritto d’autore, difendere il principio che chi produca contenuti debba essere tutelato, difendere il principio che chi usa contenuti prodotti da altri debba pagare per usare quei contenuti, non è soltanto una questione giuridica. E’ una questione prima di tutto culturale, di fronte alla quale, negli ultimi mesi, si sono ritrovati in mutande tutti coloro che hanno scelto di portare avanti un’idea politica molto pericolosa non solo per il futuro della rete ma per il futuro della democrazia: il principio farlocco che ogni regola imposta al web sia un potenziale bavaglio per la nostra democrazia: “Il Parlamento europeo – ha detto ieri un sottosegretario di stato del governo italiano, l’onorevole Carlo Sibilia, del M5s – ha approvato una direttiva che imponendo ulteriori oneri di licenza ai siti web che raccolgono e organizzano le notizie rischia di colpire in modo rilevante le libertà di espressione e di partecipazione online”.
Il mito dell’infallibilità universale della rete, e dunque della sua sostanziale inviolabilità, è il mito che si trova all’origine della scelta fatta ieri dalla maggior parte dei populisti presenti nel Parlamento europeo di non votare a favore della difesa del diritto d’autore (la Lega e il M5s hanno votato no, dimostrando ancora una volta che sui princìpi che contano in Europa la simmetria tra Salvini e Di Maio è semplicemente perfetta). Ed è all’origine anche di un’altra scelta fatta otto giorni fa sempre dagli stessi populisti in Europa: non votare a favore di una risoluzione che ha impegnato il Parlamento a lavorare a una legge tesa a condannare con forza le azioni politiche sempre più aggressive di Russia, Cina, Iran e Corea del nord – “che cercano di minare o sospendere i fondamenti e i princìpi normativi delle democrazie europee e la sovranità di tutti i paesi del partenariato orientale” – sanzionando le società di social media, i servizi di messaggistica e i fornitori di motori di ricerca che non riescono a rimuovere rapidamente le notizie false diffuse in modo sistematico sulla rete (in questo caso la Lega si è astenuta, il M5s ha votato contro).
Nel migliore dei casi, chi mostra indifferenza rispetto all’idea di dover fare tutto il necessario possibile per responsabilizzare chi veicola contenuti sulla rete, lo fa per questioni legate non all’ideologia ma alla superficialità (e in alcuni casi tra coloro che difendono il principio della irresponsabilità delle piattaforme digitali ci sono anche alcuni liberisti sfegatati che in buona fede si rifiutano di sostenere forme aggiuntive di tassazione indirette ai giganti del web). Nel peggiore dei casi, invece, chi mostra disinteresse rispetto al tema della responsabilizzazione delle piattaforme digitali lo fa perché considera un non problema il Far West senza regole della rete e perché vede nella difesa dell’anarchia digitale una difesa del proprio modello di business politico (il sottosegretario all’editoria del Movimento cinque stelle, l’onorevole Vito Crimi, è arrivato a teorizzare la difesa delle notizie bufala sostenendo che punire chi pubblica fake news significa, testualmente, reprimere la libertà di informazione).
Nel bellissimo discorso tenuto a settembre del 2017 alla Sorbona, il presidente francese Emmanuel Macron, parlando di diritto d’autore, ha spiegato perché l’Europa oggi ha il dovere di rispondere a una domanda semplice: “E’ accettabile che il nostro continente digitale sia un continente dove il valore non è di chi lo ha creato ma di colui che lo trasporta fino al suo consumatore finale?”. I partiti sovranisti, in Italia ma non solo, dovendo scegliere come rispondere a questa domanda hanno deciso di non tutelare il valore creato da chi produce contenuti. Si potrebbe non ingigantire la questione, se il tema fosse solo di carattere giuridico. Ma quando al centro del dibattito c’è la scelta se governare internet o farsi governare da internet è evidente che il problema non è il futuro del diritto, ma è il futuro della democrazia.