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Il bluff di Zuckerberg

Eugenio Cau

Promette autoriforme, invoca regole e sventola soldi davanti ai media. L’intento è non cambiare niente

Milano. Shoshana Zuboff, nel suo libro “The Age of Surveillance Capitalism” – che è un libro importante perché sistematizza (in un tomo di oltre 700 pagine) il pensiero di un’epoca attorno a temi importanti, un po’ come è stato “Il capitale nel XXI secolo” di Thomas Piketty qualche anno fa, che si sia d’accordo o meno con la sua tesi – la Zuboff, dicevamo, descrive il comportamento delle grandi società che fanno commercio dei dati personali come una conquista coloniale. Un esempio perfetto è quello di Google Street View, una funzione legata a Google Maps che tutti amiamo e utilizziamo con piacere. (Per chi non lo sapesse: è lo strumento che consente di guardare fotografie a 360 gradi delle strade, e di navigarci dentro come se si stesse passeggiando). Quando cominciò a sviluppare Street View, Google non chiese il permesso a nessuno. Semplicemente inviò centinaia e poi migliaia di automobili piene di fotocamere in giro per le strade di tutto il mondo a fare fotografie a tutto. Le foto sarebbero state montate assieme e caricate per generare Street View. Allora, la cosa fu vista come inquietante, preoccupante: chi vi ha dato il permesso di fotografare casa mia, la mia strada, il parco dove giocano i miei bambini? Alcune comunità fecero barricate per impedire alle auto di Street View di entrare nel loro paese. A un certo punto, inoltre, si scoprì che Google aveva montato sulle automobili di Street View anche delle antenne, e le usava come “vetture spia” per acquisire dati personali dalle reti wifi delle case private che captava passando per strada.

     

Si generò disagio, nacque uno scandalo sui media, i legislatori promisero di intervenire. Google allora cominciò un lungo balletto di scuse e di promesse e fece partire una campagna mediatica aggressiva. Prese tempo, promise soluzioni. Lasciò passare qualche anno, in maniera tale che gli utenti cominciassero ad abituarsi al nuovo servizio. L’allarme sociale cominciò lentamente a scemare. Google promise nuove linee guida e nuove autoregolamentazioni. Così, quando l’azienda ripropose Street View con un marketing nuovo, ormai tutti si erano abituati. I legislatori non fecero una piega, gli utenti avevano ormai dimenticato gli scandali, e oggi Street View è uno strumento abituale nelle vite di milioni di persone.

     

Zuboff definisce questo meccanismo come “ciclo dell’espropriazione”: un diritto che consideriamo acquisito (quello di non essere fotografati nelle nostre proprietà private) ci viene tolto attraverso una strategia consolidata e ciclica che prevede l’assalto inatteso, la ritirata tattica e infine la conquista quando ormai le difese si sono abbassate.

      

Ecco, Mark Zuckerberg, ceo di Facebook, è nel pieno della ritirata tattica. Dopo due anni trascorsi a chiedere scusa per gli infiniti scandali che hanno riguardato il suo social network – scuse accompagnate da promesse di “metteremo tutto a posto”, che hanno allontanato le azioni legislative e consentito a Facebook di prendere tempo –, Zuckerberg sta ribrandizzando il suo prodotto: mette lo stesso oggetto in una scatola nuova con scritto “privacy”, nella speranza che tutto passi. Da un paio di mesi, infatti, Zuck è nel pieno di quello che vorrebbe far sembrare un cambiamento epocale per Facebook: dapprima ha detto che vuole concentrarsi a costruire un social network tutto dedicato alla privacy, poi, in un op-ed per il Washington Post della settimana scorsa, ha invocato nuove regole per internet, nessuna delle quali costituirebbe un problema serio per Facebook. L’intenzione è quella di indirizzare il discorso dei legislatori il più lontano possibile dalle opzioni pericolose per il social network, in particolare le azioni dell’Antitrust. In mezzo a queste proposte ci sono alcune azioni efficaci, come per esempio le nuove regole sulla sicurezza elettorale, ma la gran parte degli annunci di Facebook serve a fare da cortina fumogena.

       

Come ciliegina, in un’intervista concessa a Mathias Döpfner, il ceo di Axel Springer che è uno dei critici più feroci dei social network e che ha fatto da portabandiera nella battaglia a favore della legge Ue sul copyright, Zuckerberg ha promesso di prendere in considerazione la creazione di una nuova sezione di Facebook in cui il social network pagherà per le “notizie di qualità”. Promettere denaro facile ai giornali dopo aver distrutto il loro modello di business: ecco un buon modo per riottenere il favore dei media.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.