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Perché siamo sempre meno attenti e concentrati su quello che leggiamo

Maurizio Stefanini

Lo studio di due ricercatori certifica gli effetti dannosi del bombardamento di informazioni via social

Nel 1997 “Titanic” fu per 15 settimane in testa alla classifica dei film più veduti, ma gli ci vollero 50 giorni per arrivare a quota 500 milioni di dollari di incassi. Nel 2009, Avatar fu in testa per solo sette settimane, ma arrivò a quota 500 milioni in soli 32 giorni. Proprio a questo fenomeno è dedicato uno studio appena pubblicato su Nature Communications. Titolo: “Dinamica accelerata dell'attenzione collettiva”. Con un modello matematico si dimostra come, nell'epoca dei social network, le mode montino rapidamente per poi sgonfiarsi in modo altrettanto rapido.

 

“Con le notizie trasmesse agli smartphone in tempo reale e le reazioni dei social media che si diffondono in tutto il mondo in pochi secondi, la discussione pubblica può apparire accelerata e frammentata temporalmente”, è la definizione formale contenuta nello studio. Uno dei due autori del lavoro è Philipp Hövel dell'Istituto Max Planck e della Technische Universität di Berlin. L'altro è Sune Lehmann, dell'Università Tecnica della Danimarca. Fitto di grafici e formule relativi a “dati longitudinali su vari domini, che coprono più decenni”, il documento verifica “gradienti crescenti e periodi abbreviati nelle traiettorie di come gli argomenti culturali ricevono attenzione collettiva”. Cioè, la corsa tra chi dà più “contenuti popolari” è ormai talmente serrata, che la gente non riesce a starci dietro.

 

Già Ev Williams, dopo essere stato fra i creatori di Twitter, aveva lanciato l'allarme sul modo in cui l'attuale ritmo di consumo dell'informazione stia “intontendo il mondo”. E recente è anche il caso di Alexandria Ocasio-Cortez, che dopo essere diventata il più giovane membro della Camera dei Rappresentanti nella storia degli Stati Uniti grazie a Facebook, ha ora deciso di abbandonare il social network. Secondo lei, ormai queste piattaforme sono “un rischio per la salute pubblica con effetti su tutti”. E ora il modello matematico pubblicato su Nature Communications conferma queste sensazioni “a pelle”. Lo studio però va oltre e constata come lo stesso meccanismo operi allo nei campi più diversi: le tendenze di Google e Twitter, i commenti nei forum su Internet, il successo di libri e film. “L'abbondanza di informazione porta a comprimere più temi negli stessi intervalli di tempo, come risultato delle limitazioni dell'attenzione collettiva disponibile”.

 

Lo studio si occupa solo dell'attenzione collettiva, ma per questo è in preparazione un nuovo lavoro centrato sul comportamento dell'individuo. Lehmann ha una ipotesi: per orientarsi nella babele informativa il singolo seleziona solo ciò su cui è già d'accordo, senza verificarne la fondatezza. Ciò spiegherebbe il crescente successo delle fake news che assecondano pregiudizi collettivi.

 

Due ambiti sembrano tuttavia immuni da questo fenomeno di accelerazione dell'attenzione: Wikipedia e gli studi scientifici. Una ragione c'è, secondo Lehmann: in questi casi particolari non è l'informazione a cercare di catturare l'attenzione del singolo, ma è il singolo stesso a cercare l'informazione.

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