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Che cosa succederà ai nostri smartphone cinesi?

Eugenio Cau

Dopo il bando di Trump a Huawei c'è il timore dell'effetto Zte

Milano. Quando ieri gli Stati Uniti hanno annunciato misure punitive nei confronti del campione tecnologico cinese Huawei, tutti gli esperti e tutti gli analisti economici si sono fatti un’unica domanda: siamo davanti a un nuovo caso Zte? Le misure adottate dall’Amministrazione Trump sono un’arma con due fronti d’attacco. Anzitutto, la Casa Bianca ha emesso un ordine esecutivo in cui impone alle compagnie americane di non installare o acquistare tecnologia straniera che possa costituire una minaccia alla sicurezza nazionale. L’ordine esecutivo non cita esplicitamente la Huawei né la Cina, ma era chiaro a tutti chi ne fosse l’obiettivo. Questa misura era stata ampiamente prevista, e per Huawei non costituisce enorme danno: gli Stati Uniti sono una frazione del mercato dell’azienda cinese, che da anni subisce restrizioni da parte di varie Amministrazioni (per esempio: gli smartphone Huawei non si possono comprare in America).

  

A sorpresa, tuttavia, l’Amministrazione americana ha deciso di aggiungere una misura ben più dura. Ha inserito Huawei e 70 aziende del conglomerato nella “Entity List” del dipartimento del Commercio, una lista di compagnie sotto osservazione a cui le aziende americane non possono vendere prodotti e componenti senza un’autorizzazione esplicita del dipartimento. In poche parole: se Huawei usa fornitori americani per i suoi apparecchi, è probabile che dopo l’inserimento nella Entity List non li possa più usare – anche se molto dipende da quanto il dipartimento del Commercio deciderà di essere assertivo.

  

Tutti hanno pensato a Zte, che è la seconda azienda cinese di telecomunicazioni dopo Huawei, perché nell’aprile dell’anno scorso l’Amministrazione Trump inserì Zte nella stessa lista, dopo aver scoperto che la compagnia cinese aveva violato alcuni accordi riguardanti il commercio con paesi sotto sanzioni. Per Zte fu una catastrofe. Senza i fornitori americani, l’azienda bloccò la produzione nel giro di qualche settimana e fu costretta a sottoporsi a condizioni draconiane pur di farsi rimuovere dalla lista terribile del dipartimento del Commercio.

  

Sarà così anche per Huawei? Gli smartphone molto amati dell’azienda cinese spariranno dagli scaffali dei negozi di elettronica? Probabilmente no. Huawei è un’azienda molto più grande e ramificata di Zte, e la sua esposizione alla tecnologia americana è più limitata. Per esempio, il problema principale per Zte erano i microchip. Tutti i suoi prodotti, dagli smartphone agli apparecchi di rete per il 5G, avevano dentro dei microchip prodotti da aziende americane. Senza quelli, i prodotti erano da buttare – e i microchip richiedono anni di ricerca e sviluppo per essere fabbricati in proprio. Ecco, Huawei i suoi anni di ricerca li ha fatti, e buona parte dei suoi microchip la produce da sé. Non solo: dopo aver visto l’esperienza terribile di Zte (che pure dopo essere uscita dalla lista nera è tornata florida) ha attivato contromisure per ridurre il più possibile il suo grado di dipendenza dalle tecnologie americane.

  

Eppure anche Huawei non è completamente immune dalla Entity List. Un portavoce di Huawei ha detto ai media che dei 70 miliardi di dollari che l’azienda ha speso in forniture di tecnologia nel 2018, 11 miliardi sono andati ad aziende americane. Questo significa che il 15 per cento dei prodotti di Huawei sono fatti di tecnologia americana, anche se il dato è probabilmente sottostimato perché non tiene conto dei brevetti tecnologici detenuti dagli Stati Uniti e indispensabili per molti apparecchi.

  

Per esempio: se Huawei fa da sé i microchip per gli smartphone, lo stesso non si può dire dei chip dei computer portatili, che sono prodotti dall’americana Intel. Lo stesso vale per alcunii microchip all’interno degli apparecchi delle reti, che sono fabbricati in vari tipi dalle aziende americane Broadcom, Xilinx, Texas Instruments e Analog Devices. Anche le compagnie Skyworks e Qorvo producono chip per le radiofrequenze per Huawei. Si tratta di componenti difficili da sostituire con breve preavviso. Diversa la questione per le schede di memoria che Huawei compra da Micron: quelle si possono acquistare in Corea del sud.

  

Secondo gli esperti, se un bando delle forniture fosse applicato in maniera rigida da Washington (e questo è ancora da vedere) Huawei soffrirebbe molto e probabilmente il lancio della tecnologia 5G sarebbe rallentato. Ma non subirebbe un colpo mortale come Zte e rimarrebbe probabilmente al centro di molti piani di sviluppo. L’azienda cinese tuttavia non sarebbe l’unica a soffrire. Gli undici miliardi di dollari di ordini di cui sopra saranno un conto negativo per l’economia americana, e data l’eccezionale importanza di Huawei per il sistema Cina non bisogna escludere ritorsioni pesanti del governo di Pechino, per esempio contro le compagnie americane che operano in Cina. In un comunicato diffuso dopo il bando, Huawei ha detto che la decisione americana “danneggerà gli interessi delle aziende e dei consumatori statunitensi”.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.