Il sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo nella sede di Zte a Roma (foto di Giulia Pompili)

I cinesi di Zte ci spiegano la cybersicurezza, il problema semmai sono i gialloverdi

Giulia Pompili

A Roma è stato inaugurato il primo laboratorio di sicurezza cibernetica d’Europa

Roma. La sede romana di Zte, il colosso delle telecomunicazioni cinese, occupa quattro piani di un edificio su via Laurentina, un palazzo che ospita anche alcuni uffici della tedesca Siemens, della spagnola Corporate real estate advisor e della californiana Tibco Software Inc. Ieri qui si è tagliato il nastro del primo laboratorio di sicurezza cibernetica d’Europa, il secondo dopo quello aperto praticamente in contemporanea a Nanchino, e lanciato dalla società cinese con un tempismo significativo, proprio nel periodo in cui la cybersecurity diventa uno dei motivi di più attrito tra America e Cina. Qualche mese fa, al Mobile World Congress di Barcellona, Zte aveva annunciato l’apertura di un’altra sede di questo tipo anche a Bruxelles entro il 2019, dove tre mesi fa l’altra telco cinese Huawei ha aperto un centro di “sicurezza e trasparenza”, e l’obiettivo di questa rete di laboratori è proprio quello di “promuovere la trasparenza e rafforzare la fiducia reciproca tra tutte le parti”, cioè i clienti, ma anche “i regolatori e le altri parti interessate”. Per assicurarsi una presenza istituzionale, la liturgia del taglio del nastro è stata celebrata la mattina presto, secondo la disponibilità del sottosegretario alla Difesa con le deleghe alla sicurezza cibernetica Angelo Tofalo, dei Cinque stelle. “Stiamo dando una spinta all’Italia”, ha detto il sottosegretario con un passato da ingegnere, che dichiara pure sulla sua pagina Twitter dove si descrive un “ingegnere rapito dall’#Intelligence per diffondere la cultura della #Sicurezza”. Tofalo spiega che il governo italiano è molto onorato di essere stato la prima scelta di Zte per il cybersecurity lab, e dice di aver già incontrato nei suoi uffici “qualche mese fa” Kun HU, presidente per l’Europa occidentale e ceo di Zte Italia, e Zhong Hong, responsabile della sicurezza di Zte: “Abbiamo incontrato anche altre aziende ma loro sono stati i primi a passare alla concretezza”, dice Tofalo, che poi si lancia in un paragone tra il club nucleare e la nuova corsa alle tecnologie che stentiamo a seguire.

 


La sede romana di Zte (foto di Giulia Pompili)


  

Ma che cos’è esattamente questo laboratorio per la sicurezza cibernetica e perché dovremmo essere rassicurati dalla sua presenza sul nostro territorio vista la reputazione di certe aziende quando si parla di sicurezza nazionale? Per ora il laboratorio di Zte è limitato a una mezza dozzina di postazioni con computer al quarto piano del palazzo, ma dalla breve presentazione si capisce che è soprattutto un sistema con il quale l’azienda cinese vuole mettere a disposizione più dati possibili, “una piattaforma aperta e di cooperazione”, dice Zhong, “possiamo aprire in qualsiasi momento i codici sorgente e le fonti dei nostri prodotti”, aveva detto a Nanchino.

 

Il colosso cinese nato a Shenzhen e che nel 2018 era diventato la “prima vittima” della guerra commerciale americana con le sanzioni di Trump, negli ultimi due anni ha puntato tutto sull’Europa. E sull’Italia, in particolare: nell’aprile dello scorso anno Zte Italia, insieme con l’Università dell’Aquila, ha inaugurato il suo Innovation & Research Center con focus sull’infrastruttura del 5G; l’anno precedente aveva firmato un memorandum con l’Università di Roma Tor Vergata, e la meravigliosa Villa Mondragone di Frascati è diventata sede di un Joint Training Center tra l’ateneo romano e Zte. Nell’area 2 delle zone di test per il 5G, cioè Prato e L’Aquila, il costruttore della rete è Zte e gli operatori Wind3 e OpenFiber. Ieri alla sede di Zte Italia c’era anche Flavia Marzano, dell’Assessorato Roma Semplice (mai il nome di un assessorato fu più sciagurato) anche perché “come sapete la sindaca Raggi è in viaggio a Tokyo”, e ha spiegato che entro giugno Zte inizierà i test per un nuovo sistema di sorveglianza al Palazzo dei Conservatori e al Tempio di Giove, nella Capitale, e un’antenna 5G sarà operativa già entro dicembre.

 


Il libro del presidente cinese Xi Jinping su una libreria nella sede romana di Zte (foto di Giulia Pompili)


  

Insomma, se da una parte i cinesi di Zte tentano – anche con discreto successo – di rifarsi l’immagine e mettere tutto sul tavolo (ma tutto tutto?) quel che riguarda la sicurezza, il problema a questo punto riguarda la capacità dei governi che fanno affari con le aziende cinesi di garantire una linea invalicabile di confine, legata sì alla sicurezza, ma anche alla condivisione di dati e di valori, di princìpi democratici. Insomma la capacità di creare una strategia per il futuro che non cada in facili trabocchetti – che abbiamo visto accadere, dall’Australia al Canada. Mentre Germania e Francia sembrano avere avuto finora una coerente politica (facciamo affari senza pregiudizi, ma non ci facciamo fregare) l’Italia, dopo aver firmato il memorandum d’intesa sulla Via della Seta, è considerata una specie di cavallo di Troia cinese soprattutto in Europa. E non si tratta di pregiudizi, perché su certi temi il governo gialloverde non ha dato ancora alcuna rassicurazione e si muove disordinato, debole, senza una linea comune. Il leader della Lega Matteo Salvini ieri su La7 ha ripetuto che la Cina “non è un paese democratico” e che “è importantissimo aiutare le nostre imprese. Altro paio di maniche sono le alleanze internazionali e la sicurezza nazionale” – in totale contraddizione con il maggiore sponsor della Cina in Italia che è il sottosegretario leghista al Mise Michele Geraci. E mentre in Europa ci si interroga sul da farsi, dopo i provvedimenti dell’Amministrazione americana contro la tecnologia cinese, in Italia nessun esponente politico ha preso una posizione chiara sull’argomento. Anzi, i fatti sembrano aumentare la confusione. Venerdì scorso il Consiglio europeo ha istituito “un quadro che consente all’Ue di imporre misure restrittive mirate a scoraggiare e contrastare gli attacchi informatici che costituiscono una minaccia esterna per l’Ue o i suoi stati membri”. Tra le misure restrittive c’è il divieto di viaggio nell’Ue per singole persone e il congelamento dei beni. A dicembre scorso si era scoperto un enorme furto di documenti nei confronti di diplomatici a Bruxelles che era durato tre anni, e gli hacker avevano utilizzato “sistemi simili a quelli usati dai cinesi”. Da allora il Consiglio aveva accelerato l’approvazione delle misure sanzionatorie, e secondo Reuters l’unico paese che si è opposto a questo strumento di cybersicurezza è l’Italia. La stessa cosa era accaduta mesi prima quando l’Italia, dopo essere stata tra i paesi promotori, si era opposta, in sede europea, allo screening sugli investimenti esteri che dovrebbe essere adottato comunque entro il 2020 e riguarderà anche le infrastrutture strategiche come il 5G.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.