Perché innovazione rischia di essere solo una bella parola da talk-show
Dalle virtù di un aereo militare ai tanti “no” al mondo che cambia
Non so se questa sigla vi è nota: M-346. Niente di chimico, conservanti, additivi. E no, nessun allarme alle porte. E’ un aereo militare. Un maestro per l’addestramento dei piloti, titola la brochure illustrativa della azienda Leonardo che poi è la Leonardo-Finmeccanica, con circa il 30 per cento di partecipazione statale (ministero dell’Economia e delle finanze). Comunque è una delle nostre aziende globali e cioè con ricavi per 12,2 miliardi di euro, dei quali l’85 per cento proviene, appunto, dai mercati internazionali. Un’azienda ad alta tecnologia nei settori dell’Aerospazio, Difesa e Sicurezza. Bene, la suddetta Leonardo, anche per far fronte alla crisi che l’aveva investita qualche anno fa (un calo vendite degli elicotteri), ha impostato un piano di riassestamento da qui fino al 2022 che vede nell’innovazione e nella ricerca una pratica simile a un “nuovo metodo di allenamento dell’atleta che vuole stabilire un record, come una nuova armonia da parte del musicista… una nuova tecnica espressiva dell’artista contemporaneo”, almeno nelle parole del presidente Giovanni De Gennaro. Tutto ciò si concretizza e si focalizza appunto sull’M-346. Un aereo bimotore e biposto in tandem, un aereo molto innovativo – già in funzione nella base militare di Galatina – con delle caratteristiche specifiche uniche. Vuoi per i sistemi di bordo complessi ma (e qui sta parte della poetica) semplici ed essenziali, vuoi per l’affidabilità e la manutenzione minima, e poi metti le prestazioni ottime (il ciclo di vita è comparabile con quello degli addestratori spinti da propulsori a turboelica) e soprattutto le interfacce tra uomo e macchina che permettono ai piloti di “allenarsi” secondo una scala di addestramento (in terra e in aria), risparmiando così ore di volo. Insomma, sommando le caratteristiche si ottiene questo gioiello di tecnica e innovazione. Che va bene, è un aereo militare, e tuttavia le qualità e il lavoro che ci sono dietro e le potenzialità future (con ricadute sul mondo civile) sono evidenti anche a un pacifista come il sottoscritto (folgorato da giovane da una frase di Moravia: bisogna rendere la guerra un tabù).
Il fatto è che nei dibattiti ormai è di moda parlare di innovazione, i politici non si tirano mica indietro, “l’innovazione ci impone di confrontarci, perché abbiamo la responsabilità di comprendere il cambiamento, senza paura e con coraggio” per usare le parole della sindaca di Torino. Tutto sacrosanto. Infatti, come possiamo sostenere la sostenibilità tanto di moda, permettete il bisticcio, senza innovazione? Come possiamo fornire energia a un mondo così cangiante? Vedi i 7,8 miliardi attuali. I nove attesi da qui al 2050. Vedi l’età media del mondo occidentale che aumenta, siamo tanti 40enni e pochi giovani, viviamo più a lungo, mentre c’è un mondo, quello in Africa e in India, composto da tanti 24enni (e la demografia, la composizione della popolazione è importante per capire la democrazia e le scelte dei cittadini). Ma vedi anche il cibo da produrre, le risorse che finiscono.
Insomma, vero, l’innovazione è la parola d’ordine nei dibattiti, tranne poi trasformarsi nei fatti in un “no” prolungato, una specie di pernacchia fastidiosa, ogniqualvolta che dai dibattiti si passa ai fatti. Troppa fatica e l’elettorato, si sa, mormora per un nonnulla. Siccome poi la sostenibilità costa, una cosa è dire viva l’innovazione, una cosa è chiedere a un’azienda di produrre un nuovo e necessario diserbante, un agrofarmaco, una tecnica genetica che ti permettere di rivoluzionare l’agricoltura. Significa assumere persone competenti e in molti settori (chimica/fisica, informatica, tecnici di laboratorio, agronomi) investire un sacco di soldi. Tanto per dire, ci vogliono dieci anni di sperimentazione e circa 120 milioni di euro per portare sul mercato un agrofarmaco di nuova generazione, cioè specifico per l’insetto, con quasi zero residui, e pensate come sono contente le aziende quando, dopo un lungo peregrinare tra ministeri e timbri, prima che si chiuda la finestra per l’approvazione, qualcuno blocca la riunione definitiva, perché a Roma c’è uno sciopero degli autobus (è successo, è successo). Insomma, a dichiarazioni coatte sull’importanza dell’innovazione non corrisponde sempre la necessaria concretezza per accogliere e raccontare quella innovazione a chi l’ha finanziata (noi). Anzi spesso la si rifiuta, e allora dagli con le semplificazione coatta e l’aggettivazione forte. Il rischio dunque è che quando ci addestrano a volare con l’M-346 o ci portano su Marte (la Leonardo produce componentistica per sonde che passeggiano su Marte), noi applaudiamo nei convegni poi sbadigliamo sonoramente per il resto dell’anno, e ci perdiamo la parte bella dello spettacolo.