Google & Co. hanno usato gli spot al Super Bowl per dirci cosa vogliono diventare
Dagli assistenti vocali ai gruppi chiusi su Facebook. A colpi di 5 milioni di dollari per trenta secondi, i big della Silicon Valley hanno fatto intravedere i loro piani per il futuro
Roma. In un momento in cui la pubblicità sta vivendo una crisi d’identità, stretta tra il calo d’attenzione dei consumatori nei confronti dei mass media e l’assenza di una formula chiara e profittevole sui media digitali, ecco che nell’evento americano più importante succede qualcosa di inaspettato e straordinario.
In pratica le società che hanno messo in crisi un intero comparto – stiamo parlando delle varie Google, Facebook e Amazon – non solo utilizzano i costosi spazi dei break del Super Bowl, ma lo fanno con una comunicazione diversa rispetto alla classica promozione del prodotto.
A colpi di 5 milioni di dollari per trenta secondi, i big della Silicon Valley hanno usato questi spazi come uno statement per comunicare al mondo (100 milioni di telespettatori solo negli Stati Uniti) il proprio posizionamento strategico per il futuro.
Partiamo da Amazon. Nello spot la testimonial Elles DeGeneres chiede alla sua compagna Portia de Rossi come fosse il mondo prima di Alexa: seguono una serie di scenette in cui in varie epoche viene chiesto a un fantomatico Alexa di abbassare la temperatura, le previsioni del tempo o di riprodurre una canzone particolare. Al di là del personaggio non proprio azzeccato (la DeGeneres ha 62 anni e sa benissimo cosa succedeva prima dell’avvento di Alexa; sarebbe stato meglio che la domanda l’avesse posta una celebrity nativa digitale), lo spot è divertente e ben fatto. Ma c’è di più. Per molti analisti gli assistenti vocali saranno la porta d’accesso per la smart home, cioè la casa connessa, e in questo settore Amazon vuole essere in prima linea. Se è vero che finora gli Echo Amazon acquistati sono utilizzati con richieste superficiali – ma le potenzialità sono spaventosamente enormi – allora tanto vale per ora scherzarci su. Considerato però che si è solo all’inizio e le integrazioni sono ancora infinite, è meglio per Amazon essere la protagonista principale di questo ecosistema.
Anche Google punta tutto sul suo assistente vocale, ma se lo spot di Amazon era allegro e divertente, i tipi di Mountain View hanno scelto di usare il tono serio ed enfatico. In pratica si mostra come gli strumenti di assistenza vocale possano aiutare a ricordare piccoli e grandi cose, come nel caso dell’anziano signore protagonista dello spot che non vuole dimenticare il grande amore della vita. Siamo delle parti del romanticismo straziante, con un occhio anche a chi soffre di Alzheimer o di demenza senile. Google sta orgogliosamente dicendo al mondo che, certo, sta raccogliendo i dati degli utenti, alcuni dei quali anche intimi e sensibili, ma lo sta facendo a “fin di bene”. In un momento di sfiducia nei confronti dei giganti digitali e della condivisione dei dati, Google dimostra che la tecnologia può essere rivolta a trasformare la vita, favorendo l’inclusività e l’accesso a tutti.
Ma veniamo a Facebook, forse il maggiore accusato in tema di privacy e pubblicità politica. È interessante che la società di Menlo Park quotata al Nasdaq non abbia deciso di puntare sulle attività che stanno crescendo con più rapidità come Instagram e WhatsApp, ma si sia invece concentrata sul suo omonimo social network. La cosa ancora più interessante è che lo racconta come luogo virtuale in cui le persone, comprese le star Chris Rock e Sylvester “Rocky” Stallone, possono condividere i propri interessi e le proprie passioni attraverso gruppi privati. Già, gruppi privati: perché questo sarà il futuro prossimo del social network creato da Zuckerberg (anche per togliersi dai recenti guai).
E infine abbiamo TikTok, l’ultimo arrivato, il socialino preferito dalla Gen Z e piuttosto incomprensibile per il resto del mondo, che qui ha un classico obiettivo: aumentare l’awareness, cioè la notorietà del marchio, specialmente al target degli old millennial. Tra tutti è lo spot più canonico e, di conseguenza, quello meno interessante. Probabilmente il prossimo anno, sempre in questa sede, ci racconterà cosa vorrà fare da grande.