Il Foglio Innovazione
La carne di laboratorio ha un segreto: i sensi di colpa
A New York si impazzisce per gli Impossible e i Beyond burger. Tra attivismo ambientalista, mercati finanziari e venture capital, è iniziata la corsa alla polpetta perfetta. Ma occhio ai grassi saturi
Qualche mese fa, era ottobre, il critico gastronomico del New York Times scrisse una durissima recensione di uno dei posti di culto dei newyorkesi carnivori, Peter Luger. Fondata nel 1887, e quindi una delle steakhouse più antiche della città – ma non la più antica: Old Homestead Steakhouse è addirittura del 1868, Keens del 1885 – Peter Luger è famosa per le maniere brusche e l’arredo poco pretenzioso – cosa che nella ricca New York sembra esotica e affascinante – ma soprattutto per la qualità della carne tutta USDA Prime – il marchio di qualità fornito dal dipartimento dell’Agricoltura americano (USDA) – e dry-aged ovvero lasciata a frollare per 12 giorni in camere a una temperatura di due gradi. Le zero stelle – sì, avete capito bene: la recensione era di zero stelle su quattro – del New York Times scatenarono un putiferio, tanto che il giornale si vide costretto ad aggiungere una pagina di lettere dei lettori i quali, va detto, per la grande maggioranza erano d’accordo.
Articoli, editoriali, battute negli stand up dei comici, la difesa di Brian Koppelman, co-creatore della serie tv Billions: per un mese non si parlò d’altro. Tutto questo per dire che la carne a New York può raggiungere livelli di tifo come lo sport. Una delle discussioni più accese riguarda da sempre quale sia l’hamburger più buono. A parte gli apocrifi che sostengono la superiorità del losangelino In-N-Out (nessun vero newyorkese lascerebbe mai il primato alla rivale della West Coast) la lotta è tra il colosso Shake Shack – 35 location solo a NY e altre sparse per tutte le principali città degli Stati Uniti, oltre a Giappone, Regno Unito, Messico, Filippine, persino in Oman – e il poco conosciuto ma super apprezzato Burger Joint, per anni uno dei segreti meglio custoditi della città, un posto piccolo e stretto che fa solo burger nascosto dietro la lobby all’interno del Le Parker Meridien Hotel sulla 56esima strada – e quando dico nascosto dico che se non sai che c’è, è praticamente impossibile trovarlo.
Se la carne a New York è una cosa molto, molto seria, e l’hamburger è una sottocultura, e il ristorante dove mangiarlo è un culto, è anche vero che fino a poco tempo fa da questa sottocultura cittadina erano esclusi quelli che la carne non la mangiano per i più svariati motivi. L’arrivo degli hamburger vegetali è ben lontano dal mettere in crisi il mercato carnivoro – le steakhouse sono piene come prima, figurarsi – ma ha reso visibile, viva e partecipe nella discussione tutta una parte di popolazione che era tagliata fuori e che oggi può discutere se sia meglio Impossible Burger o Beyond Burger, se sia meglio mangiarlo a casa o al ristorante, se la carne di manzo vegetale sia meglio di quella di porco. Invece di restringere un mercato, la carne vegetale e creata in laboratorio ne ha spalancato un altro, rendendolo anch’esso una sotto cultura di nicchia. Non era scontato in una città come New York – e per estensione a tutti gli Stati Uniti – così legata alla sua storia e alla sua bistecca – ma è successo.
Le steakhouse non si sono certo svuotate, ma gli hamburger vegetali hanno aperto mercati nuovi e sottoculture
La carne vegetale ormai si trova ovunque, nei supermercati come Whole Foods e Fairway (il macellaio del reparto carni del negozio nell’Upper West Side mi dice che si vende eccome, anche se lui è contrario per principio) e in catene di ristoranti (ex) puristi come Bareburger e White Castle, oltre che Burger King e McDonald’s, e ha costretto la maggioranza dei ristoranti generici che non hanno in menù né Impossible né Beyond a spingere di più sulle offerte vegetariane: Shake Shack l’anno scorso ha annunciato un nuovo veggie burger fatto con fagioli neri, riso e barbabietole condito con provolone, lattuga, cipolle, sottaceti e maionese vegana alla senape. Five Napkin, altra catena molto famosa, propone il 5N Veggie dove l’ingrediente principale sono fagioli e barbabietole. Ducks Eatery nell’East Village propone un “cantalupe burger” cioè un burger al melone. “Non pensare a un melone tagliato a dadini su un panino”, mi dice Will Horowitz, executive chef. “Niente di più sbagliato. No, la preparazione prevede due giorni di peeling, stagionatura, fermentazione, cottura lenta, disidratazione e bruciatura del composto di melone. Solo allora il tutto viene posto tra due panini con caramello, cipolle, e molta salsa piccante”. Gli hamburger di melone sono il futuro? si chiede il sito Grub Street. Probabilmente no, ma la loro presenza la dice lunga su quanto variopinta sia ormai l’offerta.
A oggi sono due i colossi che la fanno da padrone nel mercato delle carni di origine vegetale: Beyond Meat e Impossible Foods. Tutto inizia nel 2013 quando la catena di supermercati Whole Foods – all’epoca non ancora di proprietà di Jeff Bezos – dà alla startup Beyond Meat (i cui investitori sono miliardari come Bill Gates e il cofondatore di Twitter Biz Stone) la possibilità di vendere le sue strisce di pollo vegane nelle sedi di Whole Foods di tutto il paese. Un anno dopo, Beyond Meat sviluppa il suo primo prodotto di manzo a base di proteine vegetali che nel 2016 si trasforma nel famoso Beyond Burger. Nello stesso anno, un’altra startup, Impossible Foods, immette sul mercato un hamburger fatto con concentrato di proteine di soia. Il primo ristorante di New York a metterlo nel menù è Momofuku Nishi, a luglio 2016. Oggi i prodotti di Impossible Foods sono in circa diecimila ristoranti sparsi per tutti gli Stati Uniti e dal settembre 2019 anche nelle più grandi catene di supermercati. (In Italia non esistono ancora gli hamburger di Impossible Foods, mentre sono presenti quelli di Beyond Meat).
Dopo averli assaggiati, certi vegani decennali si sono ricordati perché gli esseri umani amano così tanto mangiare animali morti
Un successo che si rispecchia nelle quotazioni delle rispettive aziende. Impossible Foods, finanziata con soldi privati, ha raccolto oltre 687 milioni di dollari e ora vale due miliardi di dollari. Lo scorso maggio, Beyond Meat ha avuto la migliore IPO del 2019, salendo di oltre il 163 per cento il giorno del suo debutto sul mercato e con un picco di valutazione a maggio, proprio mentre la rivale diretta finiva le scorte di Impossibile a causa dell’alta richiesta, con tanto di comunicato del cfo David Lee: “Riconosco l’inconveniente che questa carenza sta causando e mi scuso sinceramente con tutti i clienti. Non si tratta di una carenza degli ingredienti utilizzati per produrre la carne a base vegetale, ma siamo di fronte a sfide di accelerazione a breve termine derivanti dalla domanda che ha ampiamente superato l’offerta”. Secondo gli analisti il business dei sostituti della carne dovrebbe raggiungere i 2,5 miliardi di dollari entro il 2023.
Diversamente dai prodotti a base vegetali già presenti sul mercato, quello che sia Beyond sia Impossible inseguono e ottengono è un prodotto che assomigli il più possibile alla carne per consistenza, succosità, sapore e colore e che quindi possa convincere non solo i già convinti ovvero i vegetariani, ma offrendo un’esperienza d’insieme simile in tutto e per tutto al mangiare la carne possa attrarre anche i carnivori con sensi di colpa, gente che ama la carne, ma che per questioni ambientali preferisce limitarne l’impiego. Secondo il sito web di Beyond Meat, gli ingredienti per il suo burger a base vegetale sono acqua, isolato di proteine di piselli, olio di canola, olio di cocco raffinato, proteine di riso e altri aromi naturali, tra cui l’estratto di mela e l’estratto di succo di barbabietola per dare un colore simile alla carne. Gli ingredienti dell’hamburger di Impossible Foods sono acqua, concentrato di proteine di soia, olio di cocco, olio di semi di girasole, proteine di patate, legemoglobina, una proteina presente nella soia che è l’arma segreta di Impossible: l’uso dell’eme (una proteina che si trova nel sangue) per rendere carnoso il sapore dei prodotti vegetali.
Il macellaio del reparto carni del negozio nell’Upper West Side mi dice che si vende eccome, anche se lui è contrario per principio
“Non possiamo salvare il pianeta se non riduciamo significativamente il nostro consumo di prodotti animali”, ha detto di recente Jonathan Safran Foer durante un incontro pubblico a New York con Stella McCartney, ripetendo concetti già in parte contenuti nel 2009 in “Eating Animals” (tradotto in italiano con “Se niente importa”) ed espressi ancora più chiaramente nel suo nuovo libro, “We Are the Weather” (sottotitolo: Saving the planet begins at breakfast, tradotto con “Possiamo salvare il mondo, prima di cena”). “Questa non è la mia opinione. E’ scienza scomoda. L’agricoltura animale produce più emissioni di gas serra di tutto il settore dei trasporti ed è la fonte primaria di emissioni di metano e protossido di azoto”. Secondo uno studio commissionato da Beyond Meat con il Center for Sustainable Systems dell’Università del Michigan, un hamburger di origine vegetale genera il 90 per cento in meno di emissioni di gas serra, richiede il 45 per cento in meno di energia, ha il 99 per cento in meno di impatto sulla scarsità d’acqua e 93 per cento in meno di impatto sull’uso del suolo rispetto a un chilo di carne tradizionale americana. Secondo Fast Company, passare dalle polpette di carne alle polpette di origine vegetale equivarrebbe a togliere 12 milioni di automobili dalla strada per un anno intero.
Per venire incontro alle richieste dei vegani di seconda generazione, quelli convertiti per salvare il pianeta, Impossibile Foods un anno fa, nel gennaio 2019, ha presentato Impossible Burger 2.0, un hambuger vegetale praticamente indistinguibile da quello di vera carne, costruito utilizzando informazioni provenienti da più di mille consumatori, modificando la formulazione originaria in modo da essere “più gustoso, più succoso e più robusto che mai”. A differenza del suo predecessore, inizialmente progettato per essere cucinato su griglie piatte da ristorante, Impossible Burger 2.0 è anche più user-friendly per il cuoco medio di casa. L’obiettivo è chiaro: dai ristoranti, arrivare nelle case. “In risposta al feedback dei consumatori, Impossible Foods ha sostituito il grano con proteine di soia per renderlo privo di glutine e più versatile nelle ricette che richiedono carne macinata come lasagne, gnocchi e miscele sciatte”, recitava il comunicato stampa.
I burger hi tech non sono più salutari della carne, anzi, il prodotto finale è molto processato e non necessariamente più sano
Questa corsa ad assomigliare alla carne, cercando di ricrearne l’esperienza sensoriale completa ha però prodotto due effetti collaterali negativi. Il primo, sostenuto anche dal ceo di Whole Foods, John Mackey, vegano da più di 20 anni, è che il prodotto finale è molto processato e per forza di cose non necessariamente più sano. “Una notizia per gli amanti della carne che pensano di sostituire il manzo: non sono più salutari”, sostiene la dietista Alissa Rumsey. Il secondo, ancora più problematico, è che ha alienato i vegani duri e puri. “L’ultima volta che ho mangiato carne avevo dieci anni”, mi dice davanti a un caffè Jennifer Barckley, Vice President of Communications di The Human League, una non profit che lavora per mettere fine agli abusi subìti dagli animali da allevamento dell’industria alimentare. La prima volta che ha assaggiato un Impossible burger, mi racconta, è stato un ritorno indietro, come se il ricordo di quell’esperienza lontana si risvegliasse, come scoprire nuovamente perché la maggioranza degli esseri umani trova così soddisfacente addentare un pezzo di carne. “Lo capisco, davvero. Capisco il piacere in assoluto, ma lo capisco meno quando è associato alla conoscenza che quello è un animale morto. Quindi ben vengano i sostitutivi di ogni genere, ben venga la scienza, in fondo è ciò che i consumatori chiedono: alternative”. Un sentimento condiviso dal ceo di Impossible Food, Pat Brown: il suo obiettivo è far diventare l’Impossible burger la nuova normalità. In parole sue: “Le generazioni future guarderanno a noi e non potranno credere che mangiavamo ancora così tanta carne. Penseranno che era una barbarie, una inutilità”.