Milano. Dopo la ricerca sui vaccini e la sperimentazione di nuove cure, la tecnologia di cui tutti parlano con più aspettative in questa stagione di emergenza da coronavirus riguarda il contact tracing. L’idea è che usando diversi sistemi tecnologici sia possibile tracciare – e quindi contenere – il diffondersi dell’epidemia da persona a persona, da comunità a comunità. Per fare contact tracing con la tecnologia (finora si è fatto a voce, con le interviste di persona) servono delle app per smartphone e altri sistemi di raccolta dati che controllino i movimenti degli individui (gli infetti ma non solo) in forma per quanto possibile anonima, e poi servono sistemi di analisi di questi dati, in modo che tutte le volte che qualcuno si ammala sia possibile ricostruire i suoi spostamenti, rintracciare la catena dei contatti, rendere più efficaci le quarantene e più mirati i tamponi, e poi, quando la quarantena sarà finita, tenere sotto controllo i nuovi focolai. Non ci sono ricerche conclusive a riguardo, ma sulla base dei primi studi si può dire che le tecnologie di contact tracing siano state, assieme a molti altri, uno dei fattori che hanno consentito ad alcuni paesi asiatici di abbattere la curva dei contagi, con diverse gradazioni di compressione dei diritti fondamentali a seconda che si guardi alla Cina, a Singapore o a Taiwan – sì, compressione dei diritti, perché in fondo il contact tracing è questo: un sistema di sorveglianza di massa. Anche in occidente abbiamo cominciato a pensarci.
Abbonati per continuare a leggere
Sei già abbonato? Accedi Resta informato ovunque ti trovi grazie alla nostra offerta digitale
Le inchieste, gli editoriali, le newsletter. I grandi temi di attualità sui dispositivi che preferisci, approfondimenti quotidiani dall’Italia e dal Mondo
Il foglio web a € 8,00 per un mese Scopri tutte le soluzioni
OPPURE