Così la stampa 3D può dare una mano contro il Covid-19

Giulia Pastorella

Dalle valvole per i respiratori nell'ospedale di Chiari alle mascherine, cosa devono fare le istituzioni per consentire agli innovatori di combattere la crisi sanitaria

La stampa in 3D è una tecnologia molto chiacchierata ma chi ne parla spesso non la comprende appieno. Si passa dal descriverla come un diletto per geek che desiderano stamparsi accessori e modellini, a spacciarla, come ha fatto qualche nostro comico-politico, per la rivoluzione che sostituirà intere filiere del valore. In questi giorni la stampa 3D è tornata alla ribalta in modo inaspettato a causa dell’emergenza coronavirus. L’attenzione del pubblico e del legislatore per la manifattura additiva è stata risvegliata da una vicenda avvenuta sul fronte della “guerra” contro il virus, nell’ospedale di Chiari (in provincia di Brescia). Nelle settimane scorse i medici, a corto di valvole per le apparecchiature respiratorie della terapia intensiva e nell’impossibilità di acquistarne dalla casa madre, avevano la necessità disperata di trovare una soluzione per salvare le vite dei pazienti ricoverati. Attraverso il giornale locale, l’ospedale è stato messo in contatto con una piccola azienda del territorio, la startup Isinnova, che in 24 ore è stata in grado di stampare un centinaio di copie della valvola originale, pronte per entrare subito in funzione (foto sotto). 

   

 

Questo evento di grande impatto ha acceso i riflettori sulla febbrile attività all’interno della community formata da makers e produttori, che già da un po’ di tempo si era messa in moto per dare un contributo all’emergenza sanitaria, iniziando a organizzarsi per produrre materiali mancanti o che sarebbe stato meglio fabbricare in loco per evitare ritardi di consegna. Infatti, per stampare in 3D non basta collegare una macchina ad internet. Per far avvenire la “magia” oltre alla macchina di stampa servono:

 

  • Un file con il blueprint (per semplificare: il progetto) dell’oggetto da stampare, ovvero la versione digitale del prodotto;
  • Il materiale di stampa, che può essere polvere o filamento di plastica, metallo, ceramica o altro;
  • La cosiddetta post-produzione, ovvero qualcuno che si occupi di tirare fuori il pezzo dalla macchina, eliminare i supporti, le parti non necessarie, ripulirlo dalla polvere in più e, se necessario, rifinirlo. (Eh già, le macchine non sono indipendenti al 100%, contrariamente a quello che si pensa).

 

Ed ecco allora che in poco tempo makers e grandi produttori sono arrivati a organizzarsi per avere il tutto rapidamente, e non solo in Italia. Nei siti di makers sono spuntati file CAD di tutti i tipi, dalle valvole alle mascherine per il viso. Su Facebook si sono moltiplicate le community e i gruppi in cui le persone si consigliano i materiali migliori, il design più efficace e così via. I big, come Stratasys e HP, si sono mossi fornendo risorse a chi usa le macchine, centralizzando la pubblicazione di design adatti e offrendo supporto tecnico. I ricercatori universitari stanno contribuendo agli sforzi nei vari centri di eccellenza. Infine le aziende che forniscono pezzi a complemento di quelli stampati, come tessuti o schermi per le maschere protettive, hanno accelerato le loro produzioni e donato alle regioni italiane materiali (come ha fatto Decathlon con le proprie maschere da snorkeling). Insomma, il mercato si è popolato di alternative e soluzioni, dando vita ad un’offerta straordinaria, seppur molto variegata a livello qualitativo. 

 

E' dal lato della domanda, però, che si rileva più incertezza. A Chiari, come ho detto, si è arrivati alla stampa 3D per vie traverse. Stando a quanto dicono gli attori della filiera, non sono stati facilitati canali di comunicazione tra domanda e offerta, né da parte dello stato né da parte delle regioni. Se davvero questa tecnologia, come sembra, può fornire un supporto per risolvere delle mancanze urgenti, sarebbe dunque opportuno trovare un modo per indicare ai produttori di oggetti stampati in 3D quali sono le necessità.

 

Cosa bisogna fare

Vediamo quindi quali sono le cose che si potrebbero fare per rendere il mondo della stampa 3D in grado di fornire un supporto utile in questa emergenza.

 

I diritti di proprietà intellettuale non devono costituire un ostacolo. Per la startup di Brescia che ha realizzato le valvole destinate all’ospedale di Chiari è stata paventata l’accusa di non aver rispettato i brevetti. Si tratta di un enorme problema per chiunque faccia reverse engineering (ovvero, partendo da un oggetto finito, lo studia e lo riproduce) su un pezzo brevettato e costituisce quindi un grosso deterrente per i maker. Per questo faccio mia la proposta dei soci Copernicani Andrea Danielli e Massimo Simbula, che hanno richiesto una legge per sospendere temporaneamente i diritti di proprietà intellettuale sui prodotti medicali (strumenti per la terapia intensiva, per la protezione di medici e pazienti, e software) per ragioni di pubblica utilità.

 

Certificazioni rapide e facilitate. Soprattutto quando si tratta di dispositivi medici e dispositivi di protezione personale, la legislazione europea per la tutela del consumatore è molto severa e richiede un lungo iter di certificazioni prima dell’immissione nel mercato. Per ovviare alla mancanza di tempo, suggerisco la creazione di un canale preferenziale da parte delle autorità preposte al controllo di questi oggetti. Addirittura si potrebbe pensare a speciali deroghe, come ha suggerito persino la Commissione europea, da applicare anche ai pezzi stampati in 3D che sono utilizzati in ambito medico. Al momento, l’unica soluzione prevista dal ministero della Salute è una richiesta, da parte del medico curante, di autorizzazione all’uso compassionevole di dispositivi medici, in casi eccezionali di necessità e urgenza. Ma non basta.

 

Stampa 3D come attività produttiva essenziale. A causa decreti che si susseguono settimana dopo settimana, c’è molta confusione su quali siano le filiere che possono continuare a la propria attività produttiva. Bisogna quindi assicurarsi che le aziende che si occupano di manifattura additiva abbiano un lascia passare per continuare la loro attività anche durante il periodo di lockdown.

 

Incentivi giusti per gli investimenti. E' opportuno mantenere e rafforzare, durante e dopo la crisi, misure come quelle previste dal piano Industria 4.0 del Governo Gentiloni, che dava incentivi fiscali sia per l’acquisto di macchinari connessi, inclusi quelli per la stampa 3D, che per la formazione degli addetti. Questi interventi, uniti al credito d’imposta, che per la ricerca e sviluppo è fondamentale, hanno favorito la diffusione di nuove tecnologie nei processi produttivi.

 

Dati liberi per una manifattura diffusa. A livello internazionale è necessario che il flusso di dati (e quindi il design degli oggetti stampati in 3D) continui ad essere libero da politiche di localizzazione, barriere e dazi (sappiate che sono stati proposti dazi anche sul trasferimenti dei dati digitali tra paesi!). Se si vuole che questa modalità di produzione diffusa funzioni, non si può prescindere dalla libertà di movimento di dati.

 

La stampa 3D ha indubbi vantaggi quando si tratta di piccole produzioni, di oggetti personalizzati o dal design complessi. La manifattura additiva annulla i tempi di adattamento e configurazione dei macchinari (come quelli per la creazione dei nuovi stampi), e permette di realizzare pezzi complessi e personalizzati senza far schizzare costi e tempi di produzione. Rimane quindi da capire come, una volta passata l’emergenza, sapremo approfittare dei benefici specifici di questa tecnologia e se il suo utilizzo in situazione di crisi ne spingerà una più diffusa adozione.

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