editoriali
Una buona app gestita male
Alla fine Immuni meriterà la fiducia degli italiani, ma che fatica
Attorno alla app Immuni, scelta dal governo per tracciare i contagiati da coronavirus e prevista in uscita nelle prossime settimane (se tutto va bene agli inizi di giugno) si è verificato un fenomeno interessante: la gestione del processo di scelta e di definizione della app da parte della politica è stata opaca e dilettantesca, più votata a comunicare (male) che ad agire. Ma nonostante tutto, per una particolare eterogenesi dei fini il risultato di tutta questa operazione potrebbe essere apprezzabile (anche se, ricordiamolo, il ruolo di queste app è molto limitato). Ormai sappiamo che il ministero dell’Innovazione ha scelto Immuni tramite un processo sbilenco e non trasparente, ignorando in parte le raccomandazioni della sua stessa task force di esperti e commettendo leggerezze gravi a livello istituzionale. Ma dall’inizio di aprile (momento della scelta) a oggi una serie di pressioni interne ed esterne ha cambiato la app in meglio, e di molto.
Immuni, a inizio aprile, era una app che usava un modello centralizzato di gestione dei dati, che non aveva escluso l’utilizzo del gps (una seria minaccia per la privacy e per i diritti), che non funzionava bene sugli iPhone a causa di problemi noti con i sistemi di Apple. Oggi invece è una app che adotta un modello decentralizzato, dunque più rispettoso della privacy, che non utilizzerà il gps e che, grazie all’adesione dei protocolli tecnologici proposti da Apple e Google, funzionerà bene sugli iPhone e avrà un alto grado di interoperabilità a livello europeo. Tutti questi cambiamenti positivi sono arrivati in anticipo anche rispetto a molti partner europei: la Germania è passata soltanto dopo di noi da un modello centralizzato a uno decentralizzato, mentre Francia e Regno Unito ancora tribolano con app che non funzionano. Insomma, a posteriori la scelta di Immuni è stata la scelta giusta, ed è diventata tale anche a dispetto della confusione creata dal ministero dell’Innovazione, che con una gestione per nulla trasparente ha minato la fiducia degli italiani in una app ancora non uscita. Alla fine è questo l’errore più grave.